Rimborso ai partiti, nuova fumata nera

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ROMA — Anche oggi, grazie anche a uno strisciante ostruzionismo della Lega, sarà  «fumata nera» sulla legge che dimezza il finanziamento ai partiti. Il voto è rimandato a martedì: «Quel giorno si vota, sennò mi sentono…», azzarda il segretario del Pd Pier Luigi Bersani: «Perché se il Paese stringe la cinghia la politica lo deve fare due volte». Più realisticamente uno dei relatori del testo, Peppino Calderisi (Pdl), prevede che ci vorrà  più tempo: «Chiudere entro martedì sarà  difficile, ma è certo che il testo verrà  approvato entro la settimana perché, contrariamente a quanto avviene per i decreti, le proposte di legge procedono con i tempi contingentati». Tuttavia alla Camera cresce il clima di nervosismo. La Lega e l’Idv, che chiedono la cancellazione totale dei rimborsi, remano contro la legge ma Pier Ferdinando Casini richiama tutti al senso di responsabilità : «Non ci sono solo i partiti che hanno commerciato in diamanti, ci sono anche i partiti che utilizzano i rimborsi per far iniziative politiche. Il taglio per quei partiti è un sacrificio». 
In principio, dunque, c’era la legge Abc (Alfano, Bersani, Casini), quella stampata il 12 aprile con una relazione d’accompagnamento che al secondo capoverso recitava: «Cancellare del tutto i finanziamenti pubblici destinati ai partiti sarebbe un errore drammatico….». Ma ben presto i segretari dei tre partiti di maggioranza si sono convinti che quella legge, tesa a introdurre solo controlli più rigorosi per i bilanci, era un pannicello caldo: una non risposta all’indignazione dovuta ai milioni sottratti alla Margherita dal senatore Luigi Lusi e alle allegre spese della famiglia Bossi messe in conto allo Stato. Quindi, in prossimità  del giro di boa delle comunali del 6 maggio, sono scesi in campo i due relatori — Gianclaudio Bressa (Pd) e Peppino Calderisi (Pdl) — che si sono dovuti chiudere nelle stanze della I commissione con una decina di abili funzionari incaricati di disboscare una vera giungla normativa. E il lavoro è stato lungo prima di mettere mano a un testo definitivo. Quello che prevedeva 5 punti: taglio del finanziamento pubblico del 50%, taglio del 33% della rata da incassare a luglio 2012, introduzione di un sistema misto (70% rimborsi, 30% contributo di 0,50 euro per ogni euro donato dai privati), aumento dello sconto fiscale (dal 19 al 38%) per le donazioni e ai partiti e alle Onlus, controlli severi e sanzioni pesanti per i bilanci irregolari. Pino Pisicchio (Api), un politico navigato che ha conosciuto da vicino la Democrazia Cristiana, giustifica così tanto zelo: «Si può essere virtuosi per due ragioni. Perché si crede o perché si ha paura di andare all’inferno. I partiti, credo, appartengono alla seconda categoria…». 
Eppure Bressa e Calderisi — sostenuti dai segretari e guardati con preoccupazione dai rispettivi tesorieri — hanno saputo condurre in porto altre proposte di modifica: in commissione è passato il taglio del 50% (da 182 a 91 milioni) anche per la tranche di luglio. E non è stato facile perché quei soldi Pdl e Udc da tempo li devono alle banche: «Sul punto — insiste Calderisi — non sono d’accordo ma questo è stato l’orientamento. E quindi mi adeguo». 
Calderisi e Bressa alla fine possono mostrare una tabellina che mira a confutare le prime «previsioni catastrofiche» della ragioneria generale dello Stato: «Nel 2012 il risparmio sarà  di 91 milioni sui 182 previsti. Nel 2012, 69 sui 160 previsti. Poi dal 2015, a regime, l’impegno di spesa sarà  di 130,3 milioni contro i 141 previsti». In ogni caso, la cifra parziale che balla ancora è quella relativa al premio fiscale per le elargizioni liberali ai partiti e alle Onlus: l’aliquota non sarà  del 38% e neanche del 27%. Ma del 26%, secondo l’ultima stesura dell’emendamento dei relatori. Fatte salve altre modifiche a ribasso che potrebbero essere imposte oggi nell’incontro tra relatori e governo.
Su tutto questo, però, incombe il rischio (o l’opportunità ) che il testo sul dimezzamento dei finanziamenti venga raggiunto e incorporato dalla proposta di legge che dà  attuazione all’articolo 49 della Costituzione sull’essenza e l’organizzazione dei partiti: «Infatti, il testo approvato dalla commissione non chiarisce qual è il modello organizzativo compatibile con costi sostenibili e trasparenti», osserva Linda Lanzillotta (Api). E si rallenterebbero ancora di più i tempi.
Resta da vedere cosa farà  il governo che ha affidato a Giuliano Amato l’incarico per l’analisi della disciplina dei partiti: «Il 21 aprile del ’93 — ha ricordato alla Camera Calderisi che allora militava nel Partito radicale — proprio in quest’aula, da presidente del Consiglio dimissionario, Amato tenne un discorso di grande spessore dopo la celebrazione dei referendum sul finanziamento pubblico: quei referendum, disse Amato, esprimevano “un autentico cambiamento di regime che fa morire dopo 70 anni il modello di partito-Stato che fu introdotto in Italia dal fascismo e che la Repubblica aveva finito per ereditare limitandosi a trasformare un singolare in plurale”». Venti anni dopo, chiosa Calderisi, «quel sistema di partiti non c’è più, ma occorre riflettere se quelle parole di Amato non abbiano ancora attualità ».


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