Ue, Juncker si dimette e attacca Merkel-Sarkò

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BERLINO – «Io, Jean-Claude Juncker, lascio la presidenza dell’Eurogruppo perché sono stanco delle continue ingerenze francesi e tedesche. Potrei ricandidarmi, ma è per questo motivo, per questa profonda insofferenza e stanchezza causata da Berlino e Parigi, che ho deciso di non farlo». Poche parole, ma pesano come un macigno.

Ieri sera, qui nella Capitale federale, il grande decano della politica europea se n’è andato sbattendo la porta. Pronunciando, in un discorso pubblico ad Amburgo, un j’accuse quasi senza precedenti contro la prepotenza del direttorio franco-tedesco. E insieme lanciando una sfida, che suona anche come una chiara diagnosi di inadeguatezza della politica del rigore seguita dalla Germania di Angela Merkel e della Bundesbank: gli eurobond, ha detto in una chiara sfida d’addio alla Cancelliera e ai “Templari di Buba”, sono solo questione di tempo. Dovranno essere introdotti con regole severissime, ma prima o poi verranno.

Le sue parole cadono mentre Lamberto Dini conferma il piano Roma-Berlino e la contemporanea approvazione nei due Paesi del patto fiscale e del Fondo salva-Stati, e mentre il premier Monti dice: «Forse Non si può parlare di un patto segreto tra l’Italia e la Germania, ma di una forte iniziativa di collaborazione italo-tedesca», già  avviata a marzo con la visita di Angela Merkel a Roma.

E’ stato uno shock amaro, anche se forse non del tutto inatteso, quello che il presidente dell’Eurogruppo (la massima autorità  economico-finanziaria operativa di coordinamento dei Paesi membri dell’eurozona) e premier lussemburghese da lunghi anni ha dato all’Europa.

Jean-Claude Juncker non parla come se fosse un qualsiasi politico europeo: da prima dell’introduzione dell’euro, dall’indomani della guerra fredda, lui – cristiano-conservatore come Merkel – fu il pupillo del Cancelliere della riunificazione tedesca e dell’unione monetaria europea, Helmut Kohl, e del suo allora vice Wolfgang Schaeuble.

Quando parla Juncker, parla la coscienza europeista al massimo livello, l’uomo che Kohl chiamò “der beste Junge”, il mio allievo preferito.

Non a caso, Juncker, nel suo discorso ad Amburgo, ha detto chiaramente di essere favorevole a Schaeuble come suo successore. «Lui è la persona adatta, perché al posto che ancora ricopro ci vuole un’estrema capacità  di saper ascoltare gli altri». Ecco un’altra porta sbattuta in faccia allo stile e alla sostanza politica del duo “Merkozy”, finora egemone in Europa. Juncker infatti avrebbe potuto ricandidarsi, molti l’avrebbero auspicato. Non ha voluto, e indica Schaeuble, che è considerato da molti l’ultimo grande europeo nel vertice tedesco, spesso in contrasto mal celato con la Cancelliera quanto appunto all’esigenza di ascoltare gli altri.

«Berlino e Parigi a volte sembrano comportarsi come se fossero convinti di essere i soli membri della Ue o dell’eurozona», ha scandito Juncker con rabbia fredda, in quello che è stato il suo discorso d’addio.


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