Auf wiedersen Tasse o Austria

by Editore | 24 Giugno 2012 16:51

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«OZico o Austria». Vicino a Udine la scritta è ancora visibile dall’autostrada per Klagenfurt, solo un po’ sbiadita. È lì dal 1983, quando il calciatore più forte del mondo d’allora, stava per lasciare il suo Brasile e sbarcare in Friuli. Lo voleva l’Udinese del presidente Lamberto Mazza – per sei miliardi di lire, che oggi sembrano poco ma ai tempi erano molto. La Federcalcio però non dava il nulla osta dubitando della copertura finanziaria dell’operazione: trent’anni fa c’era chi voleva controllare i bilanci delle società , persino chi, come il presidente federale Sordillo, pensava di chiudere le frontiere calcistiche riaperte da pochi anni. Così a Udine scoppiò una semi-rivolta popolare: manifestazioni di piazza, cortei di tifosi, comizi di Mazza che arringava le folle. E quella minaccia-slogan: «O Zico o Austria». Del tutto campata in aria, ma che suonava bene in terre dove ancor oggi, il 18 agosto di ogni anno, tra i deliziosi e ricchi vigneti del Collio si celebra il genetliaco dell’imperatore Francesco Giuseppe. Lo scontro tra Udine e Roma durò lo spazio di un’estate. Intervenne il segretario generale della Cgil, Luciano Lama, perché Mazza era anche – soprattutto – presidente della Zanussi e mentre comprava Zico metteva in cassa integrazione qualche migliaio di operai; poi, con la piazza sempre più agitata, intervenne il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che un anno prima aveva benedetto il titolo mondiale conquistato dal friulano Bearzot a Madrid: «Mi piacerebbe vedere giocare Zico nell’Udinese…». Sordillo capitolò al Coni di Carraro che accettò il ricorso dell’Udinese calcio. Fine della rivolta, niente Austria, tanti gol e nono posto in classifica. Campioni (e bidoni) stranieri a go-go per tutti. Naturalmente Mazza non ci pensava minimamente all’Austria, tant’è che l’anno dopo l’acquisto di Zico – che presto si infortuna e rimane a Udine solo due stagioni – vendeva la Zanussi agli svedesi dell’Electrolux. Una delle prime importanti cessioni a multinazionali straniere di un grande gruppo industriale italiano. Che aveva il cuore progettuale e produttivo a Pordenone, quando il nord-est era solo un’espressione geografica. Ora che è diventato una realtà  economica nel bel mezzo dell’area Euro, all’Austria ci pensano in molti, di fronte alla crisi che riduce i profitti e le offerte del paese d’oltralpe, impegnato in una piccola ma decisa «guerra» di conquista industriale. A cent’anni da un’altra – più grande e cruenta – sul mercato globale riesplode la bomba delle competizioni regionali e nazionali: la moneta unica senza una politica che la guidi non unifica, divide. Esodo industriale La Carinzia e il Tirolo sono lì, a meno di due ore d’autostrada dal passante di Mestre, snodo della circolazione di merci e persone da e per l’est europeo. Luoghi comodi da raggiungere e ancor più comodi per aprirci un’impresa in tempi difficili: fisco molto più leggero, contributi consistenti per industria e artigianato, libertà  di licenziamento, burocrazia ridotta al minimo. Il tutto apparecchiato molto bene dagli enti governativi (Aek per la Carinzia e Aba per l’intera Austria) che offrono un ricco piatto d’occasioni. Così riassume la dottoressa Natascha Zmerzlikar, che dirige la promozione per gli investimenti in Carinzia: «L’economia e il sistema politico sono stabili, il lavoro flessibile, il fisco sugli utili d’impresa non supera il 25% (in Italia la tassazione complessiva va oltre il 50%, ndr ), si può avviare un’attività  in una settimana e ottenere un permesso per costruire un capannone in meno di un mese, i terreni costano pochissimo, sovvenzioniamo gli investimenti produttivi fino al 25% del totale e fino al 60% per ricerca e sviluppo». Offerte di richiamo, almeno per chi ha i capitali per andarsene dall’Italia e non è legato dai vincoli della subfornitura. Hanni Grassauer dell’Aba segnala che nell’ultimo anno «il numero delle imprese austriache a proprietà  italiana» ha superato le 800 unità , «con un progressivo aumento delle richieste negli ultimi mesi», incalza Natascha Zmerzlikar. Gli austriaci sono agguerriti, sanno che la crisi globale per loro è una risorsa, l’occasione per attrarre gli investimenti italiani all’estero (verso i paesi Ue sono aumentati del 25% nel 2011, mentre quelli stranieri in Italia sono diminuiti del 53%). Così fioccano gli appuntamenti promozionali, come successo qualche settimana fa in una villa di Mogliano Veneto, dove gli imprenditori del nord-est hanno risposto in massa, presentandosi in più di 400: dal marmista di Vicenza secondo cui «la Guardia di Finanza è come i Testimoni di Geova, una rottura di coglioni» al titolare della friulana Refrion che per i suoi scambiatori di calore voleva ampliare il capannone ma a casa sua ha atteso «due anni per avere il permesso». Tasse e burocrazia, cioè lo stato percepito come ostacolo se non come nemico, addirittura. Meglio l’Austria, la meta del momento. Quindici anni fa, dopo il primo boom del nord-est – gonfi di soldi e intasata la circonvallazione di Mestre – molti imprenditori sono migrati in Romania, dove la competizione si faceva sul costo del lavoro. Al punto che Timisoara sembrava una città  veneta, collegata quotidianamente con voli diretti da Verona e Venezia. Oggi – che gli «schei» si fanno con più fatica dovunque e il passante autostradale smista il traffico tra Marghera, Belluno e i confini con Austria e Slovenia – meglio prendere il Suv e fare i pendolari con la Carinzia. Non è un esodo di massa ma comincia a essere visibile, ci si può andare e tornare in giornata o rientrare per il week-end. Ci vanno i grandi gruppi come la Danieli di Buttrio con i suoi acciai speciali, ormai una multinazionale che in Italia detta condizioni: «O costruite il nuovo elettrodotto senza dar retta agli ambientalisti e ci date l’energia a prezzi stracciati, o il nuovo stabilimento lo costruiamo in Carinzia». Ci vanno le medie imprese come la Montanaro Carlo & Figli di Torino che ha chiuso lo stabilimento di accumulatori e batterie a Vicenza per riaprirlo a Feistritz. Ci vanno i «piccoli» come la Dema Technology di Oderzo (Treviso) che costruisce contenitori di plastica, ha meno di 10 dipendenti e una nuova sede in bassa Carinzia. Lotta per la sopravvivenza Al di là  del Brennero e Tarvisio sono convinti che l’elenco nei prossimi mesi si allungherà . Non è una quasi-rivolta popolare, non c’è Zico da conquistare, il nuovo motto semmai è «Tasse o Austria». Per quelli che possono spostarsi. Per gli altri, per i piccolini legati alle filiere della subfornitura, il problema è lo stesso ma la lotta per la sopravvivenza si gioca ancora nel cortile di casa. Tra invenzioni e rancori. Alcuni non si capisce se più bizzarri o più inquietanti. Come quelli della milizia anti-tasse, ben raccontata da Fabrizio Gatti sull’ Espresso di qualche settimana fa. La nuova versione della «Polissia Veneta» è forse solo un gruppo di quattro matti che fingono ronde antiEquitalia, più pericolosi per chi li incrocia di notte per strada che per lo stato e il fisco. Prefetti e questori minimizzano. Ma tra Vicenza, Treviso, Padova e Belluno, tra crisi economica, vuoto politico e diaspora della Lega, i «quattro matti» possono segnalare o produrre qualcosa? In fondo anche il leghismo degli inizi sembrava solo folklore di spadoni, elmi cornuti e «leon che magna el teron». Ma poi si è gonfiato di voti, è andato al governo, ha costruito una rete di potere. Durata vent’anni. Per ora. 
Ancora oggi, il 18 agosto di ogni anno, tra i vigneti del Collio si celebra il genetliaco di Francesco Giuseppe I (1830 -1916), che fu imperatore d’Austria (1848-1916) e Re d’Ungheria (1867-1916), oltre che re del Lombardo-Veneto fino al 1866. Dopo il disastro di Solferino fu costretto a cedere la Lombardia ai Savoia, ma mantenne sotto il controllo dell’impero asburgico il Veneto Arthur Antunes Coimbra , ovvero Zico, è il nono miglior calciatore del XX secolo secondo «France Football». Star del Flamengo e della nazionale brasiliana, arriva a Udine nel 1983 preceduto dallo slogan «O Zico o Austria» dei tifosi friulani. Oggi allena la nazionale irachena e non allenerebbe mai l’Udinese («Non mi piace allenare dove ho giocato»). 800 son le imprese italiane che solo nell’ultimo anno si sono trasferite in Austria, diventando «imprese austriache a proprietà  italiana». E la tendenza è in crescita. Gli investimenti italiani verso i paesi Ue sono aumentati del 25% nel 2011, mentre quelli stranieri in Italia sono diminuiti del 53%

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