Baby Market

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L’infanzia è una scoperta recente nella storia degli uomini. Per secoli i bambini sono stati considerati piccoli adulti soltanto più facili da sfruttare, manipolare, abusare. La metà  dei bambini, ancora nel diciassettesimo secolo, moriva prima dell’adolescenza. Il rispetto per i diritti dell’infanzia non è nato nelle famiglie, ma con la moderna psicologia e soprattutto grazie alla politica. La democrazia, le lotte sindacali, la grande costruzione dello stato sociale hanno fatto del Novecento «il secolo dei bambini», secondo la profezia di Ellen Key, con leggi di tutela per i minori, divieti di lavoro nelle fabbriche, obbligo di istruzione e protezione dalla violenza degli adulti, genitori compresi. La dichiarazione dei diritti dell’infanzia dell’Onu nel 1959 ha cercato di estendere queste conquiste civili dall’Occidente a tutto il mondo. Ma dagli anni Ottanta in poi, con la crisi della democrazia e della politica, sovrastata dagli interessi economici, il processo si è fermato e ha cominciato anzi a regredire. I bambini di oggi hanno molti più soldi da spendere, ma godono di meno protezioni e tutele di quelle che avevamo noi genitori.
I nostri figli sono diventati le principali prede del consumismo alimentato dalle grandi corporations che condizionano i governi e i media per ottenere leggi sempre più permissive. Il «kid marketing», che mezzo secolo fa quasi non esisteva, è diventato un affare colossale e l’unico in continua espansione, anche in tempi di crisi. Negli Stati Uniti si calcola che il potere d’acquisto dei bambini, sommato all’influenza esercitata sugli acquisti dei genitori, superi i 1000 miliardi di dollari all’anno, contro i 50 miliardi di vent’anni fa e i 5 miliardi di vent’anni prima. In Europa le cifre sono simili. Nel volgere di due sole generazioni il potere d’acquisto dei bambini nelle famiglie è aumentato di duecento volte. In parallelo, si sono moltiplicati stress e dubbi dei genitori. Che cosa comprare o non comprare a mio figlio? E’ giusto imporre limiti di spesa a uno shopping ormai compulsivo e di tempo trascorso alla playstation o ai videogames? Come resistere alle continue richieste di prodotti inutili e costosi e di pessimo cibo propagandati a ogni ora dalla televisione? In quale modo proteggere i ragazzi dai mille pericoli nascosti nell’uso dei nuovi media e dei social network? Dobbiamo fidarci di somministrare ai bambini le medicine che oggi i pediatri prescrivono con tanta abbondanza, quando i nostri genitori ci davano al massimo un’aspirina ogni tanto? E perché fra i nostri figli si moltiplicano le allergie e le intolleranze alimentari? Come negare qualcosa senza fare dei nostri figli degli esclusi, visto che sempre «in classe ce l’hanno già  tutti gli altri»? 
E’ impossibile affidarsi all’esperienza. Nessuna generazione di madri e padri aveva mai affrontato questi dilemmi. La maggioranza si arrangia ricorrendo all’antica arte del compromesso. Ma rimane la sensazione, purtroppo fondata, di una progressiva perdita di controllo. Alcuni accusano la scuola e gli insegnanti, la cui perdita d’influenza è semmai ancora maggiore. I bambini, per non dire degli adolescenti, trascorrono ormai molto più tempo davanti a computer, tv e videogiochi che sui banchi di scuola. 
Le alleanze fra genitori e insegnanti sono spesso destinate a franare sotto i colpi di un’offerta invasiva. Qualche piccolo episodio personale. All’inizio dell’anno scolastico le maestre di mio figlio di dieci anni hanno raccomandato ai genitori di vigilare sulle troppe notizie di violenza sui bambini, sparse ormai con abbondanza di agghiaccianti particolari sui media a ogni ora del giorno. Sono sicuro che le famiglie hanno seguito il consiglio con scrupolo. A fine anno sono stato chiamato, con altri genitori, a parlare in classe del mio lavoro. Una volta spiegato che consiste nel dare le notizie, ho chiesto ai compagni di mio figlio quale notizia li avesse colpiti negli ultimi mesi. Si sono levate venti manine ed è seguito un viaggio in un Luna Park degli orrori popolati di infanticidi, abbandoni, abusi, massacri in famiglia. Un’altra storia. Una mia conoscente, professoressa molto libertaria, ma preoccupata dal mutismo della figlia adolescente a proposito di amicizie e frequentazioni, si è finta un’amica della ragazza su Facebook. Per mesi ha vissuto l’incubo di essere scoperta e di subire lo stesso processo che lei fece a sua madre quando la sorprese a frugare nel diario. Il marito ha avuto alla fine il coraggio di dirle che fingersi amici su Facebook è molto più offensivo di una sbirciata al diario. 
Per fortuna in tutta Europa e in Nord America sono nate negli ultimi anni associazioni di genitori e consumatori per combattere lo sfruttamento commerciale dell’infanzia. Assalto all’infanzia di Joel Bakan, appena tradotto da Feltrinelli, sta diventando una bibbia di questo movimento. L’inchiesta di Bakan, già  autore del pluripremiato The Corporation, si concentra sulle cinque più gravi minacce ai bambini di oggi. Primo, le strategie del marketing infantile per trasformare i nostri figli in consumatori compulsivi e bulimici. Secondo, la diffusione sempre più massiccia di farmaci di ogni tipo per l’infanzia, compresi psicofarmaci, grazie anche al crescente potere di condizionamento della scienza medica da parte dell’industria farmaceutica, spesso con metodi illegali. Terzo, l’aumento esponenziale fra i bambini di alcune patologie e il possibile collegamento con la massa di sostanze chimiche liberate nell’aria dall’industria. Negli ultimi decenni l’incidenza dell’asma fra i bambini è cresciuta del 50 per cento ed è oggi la principale causa di ospedalizzazione; la leucemia e il cancro al cervello del 40 per cento, l’autismo addirittura del 1000 per cento. Nello stesso periodo sono comparse nell’ambiente 26000 nuove sostanze chimiche e l’aumento complessivo delle sostanze chimiche disperse nell’ambiente è stato del 7500 per cento. I bambini arrivano oggi ad accumulare nel corpo da sette a dieci volte gli agenti industriali rispetto a trent’anni fa. La quarta minaccia è il lavoro infantile, che si sta diffondendo anche nel ricco Occidente, come purtroppo noi italiani possiamo facilmente verificare con un giro nei distretti industriali e agricoli. Il quinto e ultimo aspetto è la privatizzazione della scuola pubblica, dalle elementari all’università , che rischia di moltiplicare all’infinito l’influenza della grande industria sull’educazione dei ragazzi. 
Assalto all’infanzia offre molte risposte ai dubbi dei genitori, alcuni sconvolgenti casi di cronaca e una massa impressionante di informazioni, tutte verificate da un plotone di avvocati, visto che le multinazionali del «kid business» hanno la querela facile. Possiamo consolarci con la constatazione che le leggi europee di tutela dell’infanzia, ancora influenzate dal welfare, sono assai più severe di quelle americane. Almeno in questo, la maltrattata unione europea si è rivelata un argine di civiltà . Ma il lobbismo delle multinazionali ha ottenuto negli ultimi anni crescenti successi a Bruxelles, mascherati da riforme e liberalizzazioni. La sanità  e l’istruzione sono del resto diventate la più redditizia frontiera del business globale. L’inchiesta di Joel Bakan dipinge il fosco quadro di un Medioevo prossimo venturo, dove i bambini torneranno a essere, come nei secoli passati, piccoli adulti più facili da manipolare. Ma Bakan offre anche ottimi consigli per resistere al meccanismo e conclude la sua drammatica analisi con la speranza di un futuro migliore. La battaglia è appena cominciata e non è affatto persa. Bisogna però cominciare a impegnarsi da subito. Le madri e i padri di oggi, gli ultimi cresciuti nel «secolo del bambino», hanno una responsabilità  enorme. I nostri dubbi scompariranno con noi e dopo non ci sarà  un’altra generazione capace di opporsi alla scomparsa dell’infanzia.


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