Cittadinanza, il coraggio di scegliere

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Gli avversari l’hanno definita una «mossa elettorale» e mi viene da dire: tanto meglio. E proprio perché si tratta di una scelta politica che, certamente, avrà  il suo peso nella prossima campagna elettorale, ma che non ha alcunché di estemporaneo o strumentale. Al contrario, è una mossa elettorale sacrosanta e intelligente, oltre che coraggiosa, che nasce da una seria riflessione e che rimanda a un sistema di valori condiviso.
Ecco, dunque, tre buone ragioni per apprezzare la mossa di Pier Luigi Bersani. La prima: una campagna elettorale tanto più una lunga campagna elettorale, destinata a durare otto mesi non può ricorrere a una fisionomia difensiva, a un atteggiamento insicuro, a uno stile spaventato. Deve avere piena consapevolezza di sé e delle proprie idee, pena l’insignificanza e l’irrilevanza. Deve, dunque, dichiarare ciò che vuole e assumersene la responsabilità .
La saggezza non consiste nel negare i propri valori, bensì nel saperli pazientemente argomentare e tenacemente difendere. Seconda ragione. La questione della cittadinanza e, più in generale quella della tutela dei diritti degli stranieri, non è riducibile a una scelta filantropica. È, per un verso, modernissima questione di affermazione dei diritti universali della persona e, per l’altro, opportunità  ineludibile di investimento economico e sociale. Solo l’analfabetismo degli “imprenditori politici dell’intolleranza” ha potuto credere che si potesse ermeticamente “chiudere le porte”, innalzare muraglie, dazi e cordoni sanitari, attuare respingimenti in mare contro la legge di Dio e degli uomini; e che il pattugliamento delle motovedette fosse in grado di bloccare i flussi migratori determinati dallo “scambio ineguale” e da enormi sommovimenti geopolitici. E, invece, proprio una crisi economico finanziaria, quale quella attuale, induce a considerare l’immigrazione come un “fattore di crescita” e la tutela dei diritti dei migranti come una strategia di incentivi allo sviluppo. Terza ragione.
Il messaggio del segretario del Pd sulla cittadinanza, come quello appena precedente sulle coppie omosessuali, dice qualcosa di molto significativo.
Già  oggi, e tanto più in prossimità  delle elezioni, la lotta politica è destinata a polarizzarsi intorno a due importanti controversie: quella giovani/adulti e quella popolo/élites. Qui non si vuole certo ignorare la linea di frattura che corre intorno alla tematica del ricambio generazionale, dell’avvicendamento e del rinnovamento nei partiti, della formazione di nuove leadership; e tanto meno la frattura che evidenzia il fossato sempre più ampio tra cittadini esautorati della possibilità  di partecipazione democratica, e ceto politico sempre più arroccato all’interno di un sistema di prerogative e privilegi.
Sia chiaro: queste fatture esistono e giocheranno un ruolo notevole nelle prossime scadenze elettorali, ma non riguardano nella stessa misura tutti i partiti. E, soprattutto, è quanto mai utile che i conflitti di cui si è detto siano giocati all’interno di uno spazio pubblico dove la classica contrapposizione tra destra e sinistra, e tra i valori di destra e quelli di sinistra, non venga abbandonata.
Venga, piuttosto, profondamente rinnovata e resa attuale. Insomma, “dire qualcosa di sinistra” non credo proprio che faccia un soldo di danno. Al contrario: se questa fisionomia di sinistra (o di centro sinistra) si manifesta attraverso valori ad alta intensità  emotiva e di rilevante significato etico, capaci di tenere insieme le molte culture costituenti il senso comune del Pd, si tratta di un connotato identitario che può unire e mobilitare.
Pertanto, messaggi che abbiano un forte contenuto antidiscriminatorio (diritti degli stranieri, diritti delle minoranze sessuali…) rappresentano un’importante occasione per definire l’identità  di un partito, che può vincere solo se si mostra irriducibile a quelle politiche dell’esclusione e a quelle “ideologie del disgusto” che la crisi economico finanziaria sembra incentivare e diffondere.


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