Contrordine compagni, c’è lo smog “Cinesi ora tornate alla bicicletta”

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I cinesi, per non soffocare nel traffico, risalgono in sella. Ai tempi di Mao erano l’icona mondiale della massa a pedali. Su una bicicletta saliva tutta la famiglia e ogni compagno rosso era tenuto a possedere solo due tesori: la tessera del partito e le due ruote. Pechino, negli anni Cinquanta, stabilì un imbattibile primato: circolavano più biciclette che abitanti. Negli ultimi vent’anni, con il boom economico, l’addio ai cicli e la conversione all’automobile. Ed ancora un record. La Cina si è trasformata nel primo mercato auto del pianeta: oltre un milione di vetture vendute ogni mese, domanda superiore all’offerta, multinazionali dei motori in fuga verso l’Oriente e lotterie in diretta tivù per l’assegnazione delle targhe. Una motorizzazione senza precedenti, incentivata dalle autorità  impegnate nella più colossale migrazione interna della storia.
Anche la “metropolizzazione” di Stato però, con cinque città -mostro di oltre 90 milioni di abitanti entro il 2020, mostra la corda. Aria definita «inadatta alla vita umana», guerra sui dati dello smog, ingorghi lunghi centinaia di chilometri e insolubili per mesi, mercati alimentari ambulanti di servizio ai pendolari in colonna. L’allarme suona così pure nei sondaggi pilotati dalla propaganda: per la nuova classe media della Cina, più numerosa della popolazione europea, traffico e inquinamento sono il primo problema, dopo la corruzione dei funzionari. Dunque, contrordine compagni: anche il Dragone si tinge di verde, ferma le auto e riscopre le care, vecchie e gloriose biciclette.
Il ritorno al futuro delle due ruote cinesi ancora una volta parte da Pechino. Il governo ha appena inaugurato i primi 63 punti-noleggio dotati di 2 mila biciclette nei quartieri centrali di Chaoyang e di Dongcheng. Altri 140 affitti pubblici, con 48 mezzi, sono stati sparsi nel resto della capitale. Entro il 2015 si arriverà  a 150 mila cicli di Stato distribuiti in 1000 punti della città  e serviti
dalla più estesa rete di piste ciclabili del mondo. Per la seconda economia globale è una svolta: automobili a numero chiuso, targhe alterne e biciclette gratis
omaggiate dal partito. Se fino a ieri salire in macchina era la cifra del successo nazionale, oggi diventa snob parcheggiare la berlina tedesca sotto casa e pedalare
fino all’ufficio protetti dalla mascherina anti-piombo. Prima ora di sella in regalo, le successive a prezzi popolari: dieci centesimi all’ora, per un massimo di
un euro a giornata. Un solo dovere: esibire un documento, o il permesso di soggiorno, e restituire la bicicletta in uno dei centri aperti dal governo. Frenare
l’invasione dei volanti e convincere i cinesi a reimbracciare il manubrio, è del resto una drammatica
necessità .
In dieci anni la superficie occupata dalle quattro ruote in Cina è cresciuta 680 volte più rapidamente di quella coperta dalle strade. A Pechino e a Shanghai i tempi di percorrenza dello stesso tragitto, nelle ore di punta, si sono allungati fino a 12 volte: per un percorso da dieci minuti occorrono due ore. Il risultato, secondo l’allarme dell’Accademia delle scienze, è il 52% dei cinesi, ormai urbanizzati, sull’orlo di una crisi di nervi e sempre più contrari ai privilegi di leader e funzionari. La riscossa delle biciclette pubbliche, dalla capitale, dilaga così nelle principali città  e nei distretti industriali, dove i colossi di Stato cominciano a offrire agli operai l’abbonamento alla metropolitana e una bici di servizio al posto dell’aumento in busta paga. Resta, insuperabile, il problema dei numeri: montagne di automobili che invadono ogni spazio, cancellano le piste ciclabili e causano la più alta concentrazione di incidenti mortali nei Paesi in via di sviluppo. «Prima delle Olimpiadi del 2008 – dice Bay Xiuying, gestore del più grande noleggio bici di Pechino – il governo varò il primo piano di riciclizzazione popolare. In pochi mesi sparirono 60 mila biciclette e gli incentivi economici si riorientarono sulle quattro ruote. Oggi tutto è cambiato: se non si ferma lo smog e non si rimette la gente in movimento, l’urbanizzazione della Cina fallisce. I pedali diventano l’assicurazione sulla vita del potere».
Non l’unica però. Il sogno proibito dei metropolitani è sì la bici, ma elettrica: in quattro anni si è passati da 90 e 160 milioni di cicli a motore, 200 milioni entro il 2015, più 35% all’anno. È l’esercito dei nuovi eco-cinesi a rischio- infarto, terrorizzati da smog e sovrappeso, ma obbligati alla puntualità  sul lavoro. Salute e denaro: i «principi rossi» eredi di Mao spingono il popolo in sella, ma scoprono che non pedala più. Nemmeno una nostalgia a emissioni zero può salvare Pechino dal virus di un autoritarismo capitalista di successo.


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