Deficit, riforme e banche ecco perché siamo sotto tiro

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All’appuntamento con il possibile “contagio”, l’Italia si presenta fragile. Un debito pubblico stellare, un deficit messo a repentaglio dall’impennata dello spread, la speculazione pronta a scommettere contro. «Le pressioni del mercato sul debito italiano sono dovute in gran parte alle incertezze esterne», provano a spegnere la miccia da Bruxelles. Per questo «la cosa migliore per superare le tensioni è la risposta che viene da Roma». E il governo italiano «ha chiaramente l’intenzione di costruire misure per rafforzare la fiducia». Ma l’esito non è così scontato, come l’iter del decreto Sviluppo – più volte annunciato, mai presentato, incagliato com’è tra i veti sulle (scarse) risorse a disposizione – sta a dimostrare. Sale, intanto, l’ansia per la forbice tra Btp e Bund. Lo spread punta veloce ai 500 punti base. Soglia pericolosa, perché significa che l’Italia si finanzia a un costo sempre più alto e non può dare per scontato il pareggio di bilancio nel 2013, a meno di confezionare l’ennesima manovra correttiva. Il Paese però non sembra in grado di sopportare ancora altra austerity, bloccato com’è da problemi atavici, zavorre insopportabili (sommerso, evasione, corruzione, burocrazia), ma anche da una recessione fortissima. La produzione industriale cala a picco e trascina giù il Pil, la disoccupazione vola al 10%, quella giovanile al 36%. Mentre il sistema bancario regge, ma chiude i rubinetti. Sullo sfondo, il destino dei Piigs. Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, di fatto “commissariati”. E l’Italia?

Il debito senza più freni a un passo da 2.000 miliardi    


Il buco nero dell’Italia è senz’altro il debito pubblico, volato al record storico di 1.946 miliardi a marzo, 18 in più di febbraio, 50 in più nei primi tre mesi, 80 in un anno. Con buone probabilità  di sfondare quota 2 mila entro il 2012. Il rapporto debito/Pil (123,5% nel 2012 per la Ue, 120% per il governo Monti) è tra i più alti del mondo e destinato a peggiorare, specie se il Pil scende (già  a -1,4% nel primo trimestre). Rischia anche il deficit, previsto al 2% quest’anno e a zero il prossimo, come da impegni con l’Europa. A meno che l’impennarsi dello spread (interessi più alti che l’Italia paga sul suo debito) metta a rischio l’obiettivo e richieda all’Italia un’altra manovra correttiva.

Le misure per lo sviluppo tardano resta irrisolto il nodo-coperture    


Il fiore all’occhiello della legislazione “tecnica”, quel decreto Sviluppo così atteso per rilanciare la crescita, ancora non c’è. E quando arriverà  («Lo approviamo in settimana», ha detto ieri il ministro delle Politiche agricole, Catania), il rischio è che sia svuotato. Il ministro Passera dice che ci metterà  la faccia e che i decreti saranno più d’uno. In attesa, le tensioni tra Ragioneria e dicastero dello Sviluppo sono tutt’altro che sopite. I denari non si trovano, si cercano almeno 200 milioni per coprire alcune delle norme più attese. Non il Piano Città  che vale due miliardi, né gli sgravi alle aziende sugli investimenti nella ricerca. E forse neppure il bonus “verde” per le ristrutturazioni.

Dall’evasione alla burocrazia le zavorre che rallentano il Paese    


Burocrazia elefantiaca e ridondante, lamenta il presidente di Confindustria, Squinzi. Ma anche ritardi infrastrutturali, giustizia lenta, corruzione. E poi evasione e sommerso, ricorda il Financial Times, contro cui l’Italia non ha fatto abbastanza. Una ragnatela che fragilizza e soffoca l’economia, rallentandone la crescita. A partire dall’evasione fiscale, 120 miliardi ogni anno, e dal sommerso, 540 miliardi nel 2011 (Eurispes), il 35% del Pil ufficiale. Per arrivare poi alle pastoie burocratiche. Ogni impresa dedica 36 giornate l’anno agli adempimenti, il 53,2% in più della media Ocse (Confartigianato). Solo tra il 2008 e il 2011 sono state emanate 189 nuove norme fiscali.

Sistema più solido degli altri ma c’è il vizio del credit crunch    


Più solide di altre, perché resistenti alle sirene delle alchimie finanziarie, le banche italiane pagano un prezzo tutto sommato basso alla crisi. Non scontano bolle immobiliari, come in Spagna, famiglie poco indebitate, ma qualità  del credito peggiorata (le nuove sofferenze sono tornate al 2%). Imprese e singoli lamentano un credit crunch in corso, nonostante i 255 miliardi presi a prestito nei mesi scorsi da 112 banche italiane dalla Bce all’1%. Bankitalia nega, ma ammette un rallentamento. La crisi intanto mette in fuga i capitali stranieri (100 miliardi negli ultimi 5 mesi del 2011). Mentre accelerano gli acquisti di titoli di Stato italiani (70 miliardi nei primi 3 mesi del 2012).

Aziende troppo piccole e fragili l’export cresce solo dello 0,9%    


Imprese piccole, poco patrimonializzate, fortemente dipendenti dal credito bancario e dunque fragili: così le descrive il governatore di Bankitalia, Visco. Sicuramente poco internazionalizzate e per questo più esposte alla bufera della recessione, come rileva il rapporto Unioncamere. Negli anni della crisi (2007 2011), le esportazioni delle aziende manifatturiere italiane, ad esempio, sono cresciute poco (+0,9%), mentre in Europa si correva, Spagna compresa (+2,9% medio annuo), meglio di Francia e Germania (+2,5%). In generale, la produzione industriale italiana è scesa di 25 punti percentuali dalla crisi del 2009 e continua a calare, nonostante il “bello e ben fatto” tricolore.


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