Egitto, ergastolo a Mubarak Piazza Tahrir insorge: “Non basta”

by Editore | 3 Giugno 2012 12:51

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IL CAIRO – L’ex rais egiziano Hosni Mubarak è stato condannato all’ergastolo per avere ordinato di sparare sui manifestanti durante la rivoluzione. L’accusa aveva chiesto la pena di morte. Nel processo per omicidio plurimo e corruzione la Corte Penale del Cairo lo ha riconosciuto colpevole della morte di oltre 850 manifestanti. Immediata la reazione della piazza: in migliaia hanno protestato per le strade contro la sentenza ritenendola troppo blanda. Mubarak condannato rimane immobile, di pietra come è sempre stato. Una testa di sfinge con gli occhiali da sole, il capo spunta ritto, impassibile, sollevato dalla barella in cui ancora una volta è stato devotamente accompagnato dai poliziotti nell’aula di giustizia. Fermo per lunghi minuti, in un segno di sfida oppure di dignità , dipende dalla parte da cui lo vedete. Perché la sentenza che ieri lo ha condannato all’ergastolo è una sentenza che tutto l’Egitto guarda e giudica dal suo punto di vista. 
Per un tempo incalcolabile il giudice Ahmat Refaat tiene l’aula in silenzio. Refaat parla e celebra il popolo che scese in piazza nel 2011, «il popolo si era svegliato il 25 gennaio per respirare una nuova aria dopo 30 anni di notte profonda, profonda, profonda!». Sembra quasi un’arringa politica, un’elegia a un popolo che ritrova la dignità  questa del giudice alla sua ultima giornata in servizio, da oggi è già  in pensione. Sembra l’arringa di un tribunale che segna una giornata memorabile nella storia millenaria dell’Egitto, un giudice che condanna un dittatore per i suoi crimini. E invece è solo un passaggio, un episodio importante, ma reversibile nella battaglia per il potere egiziano che continuerà  dura e confusa.
Dopo l’annuncio della condanna a Mubarak, dopo la condanna a vita al ministro degli Interni Habib el Hadli, il giudice assolve i figli di Mubarak Gamal e Alaa e soprattutto i sei assistenti del ministro degli Interni, i volenterosi carnefici che avevano trasmesso fedelmente gli ordini di repressione che nel maggio 2011 portarono la polizia a uccidere 850 manifestanti. Ancora pochi secondi e dentro e fuori l’aula di giustizia scoppia il caos. A sorpresa dentro l’aula ci sono quelli vicini a Mubarak, che protestano per la condanna, e i parenti delle vittime che attaccano perché volevano la pena di morte. Hanafi El Sayed è venuto al Cairo da Alessandria: anche suo figlio, 27 anni, era arrivato in città  da Alessandria nel radioso gennaio del 2011, venne ucciso dalla polizia. «Voglio la pena di morte, per lui e per i suoi figli, se non avremo la pena di morte la rivoluzione ripartirà ». Fuori del tribunale partono le sassaiole, gli scontri con la polizia (a tarda sera già  oltre 60 feriti), e intanto tutti si spostano verso piazza Tahrir per protestare contro il regime che giudica se stesso. «La condanna all’ergastolo a Mubarak è reversibile, il regime farà  di tutto per cambiare le carte in tavola in appello, e poi l’assoluzione dei due figli è scandalosa e pericolosissima», dice Hana Hassan, una cliente della filiale della Bank of Alexandria vicino la piazza. 
I primi a sparare i loro attacchi politici contro la sentenza sono i Fratelli Musulmani: il 16 e il 17 giugno ci sarà  il ballottaggio nelle presidenziali, e il loro candidato Mohamed Morsi è in vantaggio sul Ahmed Shafik, l’ex generale che è stato proprio l’ultimo primo ministro di Mubarak e a sorpresa è arrivato secondo al ballottaggio del 24 maggio. Morsi e i suoi uomini lo dicono chiaramente, «questo processo è stato una farsa, se andremo noi al potere lo rifaremo e condanneremo chi ha ucciso i figli dell’Egitto: se chi comandava la polizia è innocente, allora chi ha ordinato di uccidere?». In effetti Mubarak e il ministro Hadli nella lettura del tribunale non sono stati condannati per aver dato ordini di cui non è stata trovata prova. La loro condanna è stata comminata per non aver emanato gli ordini giusti che avrebbero fermato gli assassini. «Il vecchio regime ha giudicato il vecchio regime», dice Mohammad El Baradei, il leader che non è riuscito a imporsi al timone della rivolta ma che rimane un possibile uomo di governo per il nuovo Egitto: «L’assoluzione dei 6 assistenti del ministero garantisce l’assoluzione di Mubarak in appello». 
Gli unici ad accettare la sentenza sono proprio gli ex uomini di Mubarak. Shafik misura le parole: «Non abbiamo diritto di commentare una sentenza, ma è chiaro che nessuno è al di sopra delle parti». Come dire Mubarak ha esagerato, ma quello che decidono i giudici è giusto, e se in appello decideranno di ridurre la pena andrà  bene. Per ora Mubarak entra in carcere, lascia l’ospedale di lusso in cui ha vissuto per 10 mesi; dicono abbia pianto, non voleva lasciare l’elicottero che lo riportava indietro. Ma la storia politica dell’Egitto, del suo regime e del suo futuro è ancora tutta da giocare.

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