Ergastolo per Mubarak «Omicidio plurimo»

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È stato colto anche da un malore, una crisi cardiaca secondo la tv di stato. Poi l’ex raìs egiziano, per trent’anni al potere come un faraone, si è dovuto rassegnare al carcere e alla condanna all’ergastolo, annunciata ieri dal giudice Ahmed Refaat, per aver dato il via libera all’uccisione di 850 manifestanti durante la rivoluzione del 25 gennaio 2011. E può dirsi persino fortunato, perchè rischiava il patibolo. Sconterà  il carcere a vita anche il suo ministro dell’interno Habib el Adly, uno degli esponenti del regime più odiati e disprezzati dagli egiziani. Il regime è caduto solo in parte un anno mezzo fa, l’Egitto non è cambiato come avrebbero voluto i rivoluzionari più sinceri. Su un punto però non ci sono dubbi: Mubarak sarà  ricordato come il primo leader arabo processato e condannato dopo l’inizio delle proteste popolari in Nordafrica e Medio Oriente. Certo, i suoi avvocati presenteranno appello e forse l’84enne ex dittatore trascorrerà  i suoi ultimi giorni in una clinica e non in una cella. Ma in ogni caso la sentenza pronunciata ieri nell’Accademia di Polizia del Cairo, che lui ha ascoltato senza fare una piega, nascosto dietro gli occhiali da sole e disteso su di una barella nella gabbia degli imputati, ha scritto una pagina importante di storia araba. La gioia esplosa davanti all’Accademia di polizia – dove erano riuniti rivoluzionari e parenti delle vittime della repressione – quando il giudice Refaat ha pronunciato i nomi di Mubarak e Adly, si è rapidamente trasformata in delusione. La corte ha assolto tutti e sei gli assistenti dell’ex ministro dell’interno. «I massacri non hanno solo dei mandanti, hanno anche degli esecutori», ha commentato un avvocato. Un colpo duro per le speranze di chi voleva una giustizia piena e implacabile. Nelle strade del paese tanti si erano augurati la condanna a morte degli imputati colpevoli della strage dei dimostranti. E la rabbia è cresciuta ancora più forte quando Refaat ha comunicato il non luogo a procedere per i due figli di Mubarak, Gamal e Alaa, accusati di corruzione e abuso di potere, perchè i reati risalgono a oltre dieci anni fa. Reati prescritti anche all’ex rais. Gli avvocati delle vittime sono saliti sui tavoli del tribunale scandendo «Fuori, fuori» e «Il popolo vuole che la magistratura sia ripulita». Si sono fatti sentire anche i “filul”, i sostenitori di Mubarak, che invece volevano l’assoluzione dell’ex raìs. La polizia ha caricato pro e anti Mubarak. Almeno 24 manifestanti sono rimasti feriti. Gli avvocati di tutte le parti presenteranno appello. E quelli di Mubarak e Adly sperano di ribaltare una sentenza «politicamente» forte ma debole dal punto di vista giuridico. Esperti legali spiegavano ieri che aver condannato i mandanti e aver assolto gli esecutori pone dubbi forti sulla concretezza della catena di comando delineata dai giudici. Indubbi sono i riflessi della giornata di ieri sulla campagna per il secondo turno delle presidenziali, previsto tra due settimane. Chi tra i due candidati, Mohammed Morsy (Fratelli Musulmani) e Ahmed Shafiq, ultimo premier nominato da Mubarak ed espressione dell’ancien regime, trarrà  vantaggio dal verdetto? Gli islamisti, bersaglio per trent’anni del pugno di ferro dell’ex raìs, giocano la carta del «tradimento» della rivoluzione (alla quale in verità  aderirono con colpevole ritardo). Ieri si sono detti «scioccati», hanno annunciato l a sospensione della campagna elettorale e invitato a scendere in piazza per manifestare contro l’assoluzione dei sei responsabili della sicurezza. Shafiq, che punta sulla stabilità  e, quindi, sulla fine di raduni e proteste chiesta da una porzione significativa di egiziani, ha preso le distanze da Mubarak e ha «elogiato» l’imparzialità  del sistema giudiziario. «Nessuno è al di sopra del giudizio e della legge» ha detto invitando gli egiziani a rispettare la sentenza. Amaro il commento di Mohammed ElBaradei, l’ex direttore dell’agenzia atomica internazionale ed oppositore di Mubarak. «Il non luogo a procedere contro i figli (dell’ex raìs) e l’assoluzione dei collaboratori di el Adly dimostrano che continuano i tentativi di far abortire la rivoluzione del 25 gennaio».


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