Il padre di Melissa: non voglio un colpevole voglio il colpevole

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Ieri Massimo Bassi è tornato al lavoro. Il padre di Melissa, per la prima volta da quel giorno, ha ripreso il suo posto nell’azienda di Taranto dove lavora come piastrellista. Alle 17.30 ha ricevuto una telefonata sul cellulare. Era l’avvocato della sua famiglia, Fernando Orsini. «Guarda che forse ci sono delle novità , qualcuno potrebbe avvicinarti per chiedere cosa ne pensi…».
Dopo cinque ore consumate tra attesa e tensione, perché neppure il lavoro che ricomincia può ridare una parvenza di normalità  alla sua vita, Bassi cammina intorno all’isolato di casa con il suo legale, per far passare il tempo, per non illudersi un’altra volta. «Abbiamo già  assaporato quel momento» dice. Non c’è nemmeno bisogno di chiedere lumi sulla sua frase. 
Il riferimento è al 21 maggio, erano passati appena due giorni dalla morte di Melissa, quando tutto sembrava risolto, c’era una persona sospettata che corrispondeva al profilo dell’assassino, c’era addirittura un movente, peccato non fosse lui, e che abbia rischiato il linciaggio all’uscita dalla questura di Brindisi. «Spero che questa volta siano sicuri» sospira Massimo Bassi. «Io non voglio che a pagare per la morte di mia figlia sia uno che non c’entra niente. Non voglio un colpevole, ma il colpevole». Non cerca vendette, il papà  di Melissa. «Sai cosa cambia… Da tre che eravamo nella mia famiglia, sempre due resteremo. Melissa non tornerà  comunque». 
Ma se davvero ci siamo, il fatidico «giustizia è fatta» potrebbe forse aiutare Rita, sua moglie, la mamma della loro unica figlia. Soltanto giovedì scorso i medici dell’ospedale San Camillo di Mesagne hanno dato l’assenso al suo ritorno a casa. Appena entrata, si è diretta nella stanza di Melissa, dove tutto è ancora come quella mattina. «Se riuscirà  a farsene una ragione, ed è difficile che accada — adesso è l’avvocato Orsini che ha ripreso la parola — sarà  solo per questo, per avere giustizia». Gli chiediamo del dirigente scolastico del Morvillo Falcone, perché ormai le voci girano sempre più vorticose, del fatto che sarebbe lui, e il condizionale è un dovere, l’oggetto di una assurda vendetta. L’avvocato si consulta con Massimo Bassi. Poi riprende: «Se quell’uomo sa qualcosa, non è certo a noi che deve dirlo». Null’altro. Clic.
Anche la giornata del preside Angelo Rampino è stata segnata da un ritorno. Era dal 29 maggio che non rimetteva piede nella sua scuola. «Ma rimango in ferie, sono solo passato velocemente per avere notizie». Sono le vacanze più amare, le sue, quelle di una persona non grata. Gli inquirenti, forse anche il ministero dell’Istruzione, avevano caldeggiato da parte sua una classica pausa di riflessione. Parlava troppo, e intanto emergevano vecchie storie non proprio commendevoli sul suo conto. «Mi avete massacrato, tutti, e non avete intenzione di smettere». 
Molto fiele nella sua voce. Da qualche accenno emerge anche la consapevolezza che quello alla scuola non è un arrivederci, ma un addio. «Eppure io sono certo di non avere nulla a che fare con questo benzinaio. Continuo a pensare alla mia vita, e non ci trovo niente. Non ho nemici, non ho mai ricevuto minacce». Eppure nei suoi confronti l’aria è cambiata fin da subito. Da coraggioso docente di una scuola colpita in modo terribile e persona certo non sospettata, ma che in qualche modo doveva c’entrare con quel che era accaduto. «Non so come sia potuto succedere. Ma anche se ci fosse qualcuno che mi vuole male, perché colpirmi a scuola? Sono un uomo noioso e abitudinario, con una certa tendenza alla puntualità . Sono certo di non essere il bersaglio di una ritorsione. Ma allora, perché? Perché un benzinaio dovrebbe fare un gesto del genere?». È la cosa più importante, l’unica che ancora manca, a quanto pare. È quel che il preside Rampino, la famiglia di Melissa e tutti noi sapremo nelle prossime ore.


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