Ilo: nel mondo 21 milioni di vittime del lavoro forzato

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GINEVRA — Secondo un nuovo rapporto dell’Ilo, sono quasi 21 milioni nel mondo le vittime del lavoro forzato, ovvero 3 persone su 1000.

L’espressione “lavoro forzato” è utilizzato dalla comunità  internazionale per descrivere situazioni in cui le persone coinvolte — donne e uomini, bambine e bambini — sono costretti a lavorare contro la loro volontà , obbligati dal loro reclutatore o datore di lavoro tramite, ad esempio, la violenza o minaccia di violenza, oppure tramite mezzi più subdoli come i debiti accumulati, la confisca dei documenti di identità  o la minaccia di denuncia alle autorità  responsabili per l’immigrazione. Queste situazioni possono anche comprendere casi di tratta di essere umani o pratiche simili alla schiavitù, che sono simili ma non identiche dal punto di vista giuridico. Secondo la legislazione internazionale, l’imposizione di lavoro forzato costituisce un crimine che deve essere perseguito con pene proporzionate alla gravità  del reato.

Il rapporto fornisce anche stime sulle tipologie di lavoro forzato: 18,7 milioni (il 90%) vengono sfruttati nell’economia privata da individui o imprese. Di questi, 4,5 milioni (22%) sono vittime di sfruttamento sessuale e 14,2 milioni (68%) sono vittime di sfruttamento lavorativo in attività  economiche come l’agricoltura, le costruzioni, il lavoro domestico e l’industria manifatturiera; 2,2 milioni (10%) sono sottoposti a forme di lavoro forzato imposte dallo Stato, ad esempio in carcere in condizioni che violano le norme dell’Ilo, oppure da eserciti nazionali o da forze armate ribelli.

Età  e aree prevalenti. Per quanto riguarda l’età , 5,5 milioni (26%) dei lavoratori forzati hanno meno di 18 anni.
Il tasso di prevalenza, cioè il numero di lavoratori forzati per 1.000 abitanti, è più elevato in Europa centrale e sudorientale e nella Comunità  degli Stati Indipendenti (CSI), con un rapporto di 4,2 per 1000 abitanti, e in Africa con un rapporto di 4,0 per 1.000 abitanti. Il tasso è più ridotto, 1,5 per 1000 abitanti, nelle economie industrializzate e nell’Unione Europea. “La prevalenza relativamente alta in Europa centrale e sud-orientale e nella CSI – precisa l’Ilo – deriva dal fatto che la popolazione è meno numerosa rispetto, ad esempio, all’Asia mentre, allo stesso tempo, risultano essere numerosi nella regione i casi di tratta (trafficking) per lavoro e per sfruttamento sessuale e casi di lavoro forzato imposto dalla Stato”.
La regione Asia-Pacifico conta il maggior numero di lavoratori forzati nel mondo — 11,7 milioni (56%) del totale mondiale. Al secondo posto l’Africa con 3,7 milioni (18%), seguita dall’America Latina con 1,8 milioni di vittime (9%).
I paesi sviluppati e l’Unione Europea contano 1,5 milioni (7%) di lavoratori forzati, mentre i paesi dell’Europa centrale e sudorientale e della CSI ne contano 1,6 milioni (7%). Si stimano in 600 mila le vittime nel Medio Oriente.

Afferma Beate Andrees, responsabile del Programma Ilo di azione speciale per combattere il lavoro forzato:”Abbiamo fatto parecchia strada negli ultimi sette anni da quando presentammo le prime stime sul numero di persone vittime di lavoro o di servizi forzati nel mondo. Progressi incoraggianti sono stati registrati anche nell’assicurare che la maggior parte dei paesi adottassero una legislazione contro il lavoro forzato, la tratta di esseri umani e la pratiche simili alla schiavitù”.
Secondo Beate Andrees, occorrerebbe concentrare ora l’attenzione su una migliore identificazione e perseguimento del lavoro forzato e dei reati connessi come la tratta di essere umani.
”È ancora complicato perseguire quegli individui capaci di infliggere tante sofferenze. Questo va cambiato. Dobbiamo anche far sì che il numero delle vittime non aumenti durante l’attuale crisi economica che rende le persone maggiormente vulnerabili a queste abominevoli pratiche”, ha aggiunto.

Migrazioni e lavoro forzato. Le statistiche permettono anche di valutare il numero di persone che si trovano intrappolate nel lavoro forzato a seguito di una migrazione.
Secondo il rapporto Ilo, sono 9,1 milioni (44% del totale) le vittime che si sono spostate sia all’interno del proprio paese o al di là  dei confini. “La maggior parte, 11,8 milioni (56%) sono sottoposti al lavoro forzato nella loro regione di origine o di residenza. I movimenti transfrontalieri sono molto spesso associati allo sfruttamento sessuale forzato. Al contrario, la maggioranza dei lavoratori forzati in altre attività , e quasi tutti quelli sottoposti al lavoro forzato dallo Stato, non si sono allontanati dalla loro regione di origine”. Secondo il rapporto, inoltre, “la migrazione può diventare un importante fattore di vulnerabilità  per alcuni gruppi di lavoratori, ma non per altri”.

Misurare il lavoro forzato. La metodologia è stata riveduta e migliorata dopo le prime stime dell’Ilo nel 2005, ragione per cui non è possibile mettere a confronto le stime del 2012 con quelle del 2005 per stabilire l’evoluzione temporale del fenomeno. I diversi paesi dovranno ancora fare molti sforzi per migliorare la misurazione di un fenomeno tanto complesso. Anche se, sottolinea Andrees, ”le cifre pubblicate oggi forniscono una stima più precisa dell’estensione del lavoro forzato, in quanto basate su una metodologia più affidabile e un maggior numero di fonti di dati”.

 

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