La mappa sismica? È facoltativa

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La lunga sequenza di scosse, alcune delle quali hanno sfiorato il sesto grado di magnitudo della Scala Richter, ha posto la domanda se la mappa oggi in uso sia da aggiornare e non rispecchi più i possibili pericoli del territorio. Questo emerge anche dal fatto che nell’ultimo anno la Pianura Padana ha tremato molte volte con intensità  inusuali rispetto ai deboli movimenti di fondo che la caratterizzava maggiormente in passato. 
Nel 2003 nasce la mappa. La mappa era stata compilata prima nel 2003 e raccoglieva gli studi condotti in precedenza dai geologi dell’Ingv nei quali era già  indicata una pericolosità  per l’area oggi bersagliata. Ma essendo rimasta nei cassetti perché la politica, nonostante i solleciti, non la considerava per trasformarla in un regolamento amministrativo, le sue valutazioni scientifiche non erano utilizzate. Ci voleva il terremoto di San Giuliano di Puglia, nel Molise, nel 2002 con la scuola crollata e la morte dei 27 bambini assieme alla loro maestra, perché il documento dell’Ingv venisse tirato fuori dai cassetti e un’ordinanza della Protezione civile firmata dal presidente del Consiglio lo trasformasse nella mappa che stabilisce la classificazione sismica del territorio. Era, appunto, il 2003 e nella quarta zona inserita compariva l’area emiliana (che nella precedente ricognizione degli anni Ottanta del Cnr divisa in tre zone non era considerata) con una probabilità  indicata intorno ad una magnitudo massima di 6.2 della scala Richter. Quindi quanto sta accadendo rientra nelle valutazioni allora espresse. 
Ma la mappa, formalmente accettata nel 2004 anche dalla Commissione Grandi Rischi e da esperti internazionali, ha caratteristiche generali per tutto il territorio nazionale tanto che parte da una considerazione teorica con il suolo piatto e su roccia. «Quindi — spiega Carlo Meletti, primo tecnologo dell’Ingv — il documento offre dei dati di base sul pericolo su cui si deve costruire il dettaglio». E qui dovevano e devono entrare in scena Comuni e Regioni i quali considerano le specifiche caratteristiche delle loro zone e aggiungono i dati che «personalizza» la carta nazionale descrivendo così la realtà  in modo più preciso, per quello che loro appunto compete, e consente la costruzione di regole costruttive rispondenti al tipo di ambiente in cui si agisce. Questo lavoro può essere assegnato a liberi professionisti ed è molto importante perché è solo in base a queste aggiunte di dati che si può stabilire come le caratteristiche locali possono amplificare un terremoto in base alla natura del luogo.
La pubblicazione 
nel 2006
Nel 2006, di nuovo finalmente, la mappa veniva pubblicata dalla Gazzetta ufficiale, prima era reperibile sul sito dell’Ingv, senza il crisma dell’atto pubblico. A questo punto un’altra ordinanza stabiliva che da quel momento le Regioni dovevano far riferimento alla mappa nelle loro operazioni edilizie ma non esisteva un obbligo; cioè potevano anche ignorarla se preferivano. E questo per un bisticcio fra leggi: una legge nazionale non può interferire con i provvedimenti regionali. Infatti già  l’invito dell’Ordinanza a dover prendere in considerazione il documento era stato mal digerito.
La microzonizzazione
del territorio
Intervenne comunque una legge ad incentivare l’avvio di un lavoro prezioso e indispensabile. Battezzata «Legge Abruzzo» garantiva alle zone con maggiore pericolosità  (quelle che superavano il valore 125 indicato dalla mappa di base) per elaborare i dati aggiuntivi locali. «Questa operazione — aggiunge Carlo Meletti — è stata battezzata microzonizzazione proprio perché arriva a descrivere nei minuti particolari il territorio suggerendo le indicazioni più opportune. Ora la microzonizzazione, di pertinenza delle Regioni e dei Comuni è stata avviata in alcune località  ma non dovunque. In qualche raro caso come la Regione Lazio la microzonizzazione è diventata un obbligo». 
Un passo avanti
dopo L’Aquila
Un altro passo avanti intervenuto dopo il terremoto a L’Aquila: sono state introdotte nuove tecniche di valutazione arrivando anche a considerare quei fenomeni di liquefazione di cui si è parlato nei giorni scorsi. Solo dopo questa data le «Norme tecniche per le costruzioni», deliberate nel 2008, entrano in vigore in tutta la Penisola. 
Già  l’applicazione delle regole sismiche del 2003 aveva proceduto a rilento perché, paradossalmente, era rimasta pure in vigore la possibilità  di far riferimento alle norme precedenti. «Ed è a causa di tutti questi ritardi — precisa una nota dell’Ingv — che nelle zone colpite in questi giorni si è accumulato un notevole deficit di protezione sismica, che è in parte responsabile dei danni avvenuti». E aggiunge come un avvertimento che «una situazione analoga interessa un notevole numero di Comuni, localizzati principalmente nell’Italia settentrionale».
Una Carta 
ancora da fare
Resta un altro punto emerso con decisione negli ultimi giorni. E cioè l’opportunità  di trasformare l’attuale mappa del pericolo sismico che segnala appunto il potenziale pericolo di una zona in base alle statistiche dei terremoti già  avvenuti in passato, in una mappa del rischio sismico il quale deve tener conto dei parametri economici dell’area; cioè deve considerare oltre gli insediamenti abitativi anche quelli produttivi. Questo è uno sforzo ancora da compiere e che deve coinvolgere ingegneri, economisti ed esperti vari. Solo a quel punto esisterebbe il preciso valore di rischio da cui partire per scrivere dei regolamenti anche più restrittivi, ad esempio, negli insediamenti industriali mettendoli al riparo dai possibili danni dai quali oggi non sono tutelati proprio per una regolamentazione insufficiente.


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