La mossa della casa bianca

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san francisco – Mai prima d’ora un presidente americano si era visto costretto a un simile ruolo di supplenza per riempire il grave vuoto di leadership europea. Accade nel giorno in cui Mario Draghi funge a sua volta da surrogato per l’assenza della politica, con la nuova operazione di sostegno della Bce alle banche, che dà  qualche speranza ai mercati. Barack Obama si allea con Mario Monti.E minaccia di isolare apertamente Angela Merkel. Anche Franà§ois Hollande, perfino David Cameron, vengono “arruolati” da Obama in una strategia di accerchiamento della cancelliera tedesca. Primo obiettivo, il più urgente: salvare le banche spagnole da un crac che sarebbe l’inizio di un panico globale. Secondo: spezzare la spirale infernale di un’austerity che dall’eurozona esporta recessione nel mondo intero, dagli Usa alla Cina. In trasferta a San Francisco per la campagna elettorale – sempre più combattuta – il presidente fa suo il vecchio motto della politica americana: “Quando il gioco si fa duro, i duri entrano in gioco”. In apparenza Obama rispetta il galateo diplomatico, nella realtà  minaccia “gioco duro”: se la Merkel si ostina a bloccare ogni piano di salvataggio delle banche spagnole e ogni politica di sostegno alla crescita, l’America e i suoi “amici europei” (Italia, Francia in primis) additeranno esplicitamente la cancelliera tedesca come “colpevole”. C’è una scadenza: il vertice Ue di fine mese. La pazienza di Obama è agli sgoccioli. La giornata è cominciata male per il presidente, con una sconfitta del suo partito nel referendum del Wisconsin che doveva cacciare un governatore anti-sindacale. Brutto segnale, che dice quanto sia aperta la battaglia per la Casa Bianca di qui al 6 novembre. È durante il volo verso San Francisco, a bordo dell’Air Force One, che il suo portavoce scopre le carte della nuova offensiva verso l’eurozona. La recessione europea è una minaccia contro gli interessi strategici degli Stati Uniti, sta letteralmente spegnendo la ripresa economica da cui dipende il destino di 15 milioni di disoccupati americani. 
Mentre viaggia verso la California, in rapida successione Obama sente i suoi principali interlocutori europei. È ormai il terzo giorno consecutivo in cui il presidente americano opera una “invasione di campo” e interviene platealmente nella crisi dell’eurozona. Causa di forza maggiore, spiegano i consiglieri che lo accompagnano a San Francisco: vista da qui, l’eurozona è un vascello alla deriva, senza comandante. La Germania è l’unica che avrebbe le forze per esercitare una leadership, ma lo fa in modo distruttivo: bloccando ogni innovazione che possa sanare la crisi di sfiducia nelle banche; imponendo tagli ai bilanci pubblici che impoveriscono intere nazioni e le rendono ancor meno capaci di ripagare i debiti. Nella tarda serata di martedì Obama aveva già  sentito Cameron per assicurarsi che perfino il premier conservatore stia dalla sua parte contro la Merkel: d’altronde l’Inghilterra sprofonda nella recessione e, pur non essendo membro dell’Unione monetaria, paga anche lei le conseguenze della mancata crescita sul Continente. «Siamo d’accordo sulla necessità  di un piano immediato per affrontare la crisi dell’eurozona»: il comunicato congiunto Obama-Cameron non lascia dubbi sullo stato di allarme estremo. Mercoledì il lavorìo di Obama ai fianchi della Merkel prosegue con la telefonata a Monti. La sintonia è totale: «Siamo d’accordo sull’importanza di misure che rafforzino la solidità  dell’eurozona e la sua crescita». I due si fissano un primo appuntamento di verifica: il 18 e 19 al vertice del G20 sotto la presidenza del Messico. In vista di quel summit globale, il segretario al Tesoro Tim Geithner si assicura anche il sostegno della Cina con una lunga telefonata a Pechino: anche la superpotenza asiatica è in agitazione per la caduta del suo export verso l’Ue. Ma è con Monti che il presidente degli Stati Uniti lascia trapelare non solo la sua esasperazione per la “testardaggine” della Merkel; si spinge oltre, evocando la necessità  di mettere la cancelliera con le spalle al muro. Se non concede qualcosa entro il summit europeo di fine mese, allora dovrà  essere chiaro che la Merkel “resterà  da sola”. E alla stessa cancelliera Obama lo fa capire in un’altra telefonata sempre durante il viaggio in California. Dopo il 28 giugno, Obama si attende una svolta nelle politiche pro-crescita, e una soluzione al disastro delle banche, altrimenti «si dica chiaramente di chi è la responsabilità ». Cioè della Germania. Non importa se la Merkel ha difficoltà  a convincere l’opinione pubblica tedesca: la vera leadership – dice Obama – consiste anche nel saper educare i propri elettori, spostare gli equilibri, costruire consenso. Monti lo aiuterà , a quanto risulta, con un gesto di freddezza: andando a Berlino il 13, non incontrerà  la Merkel bensì solo il ministro dell’Economia Wolfgang Schaeuble. L’indomani riceverà  a Roma il presidente Hollande. La coalizione pro-crescita si compatta, con il “partner esterno” che dà  la linea dall’Air Force One.


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