L’eurozona sotto l’assedio di Usa e Bric gioca la carta dell’unione bancaria

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NEW YORK â€” Assediata dal resto del mondo, criticata dalle potenze emergenti, l’eurozona promette al G20 che costruirà  l’unione bancaria. Il summit di Los Cabos si chiude su un esercizio pericoloso: dare l’impressione ai mercati che si sta facendo qualcosa. Operazione ad alto rischio, perché questi bluff in passato hanno avuto effetti brevi. Barack Obama è il primo a dubitare, in cuor suo. Il presidente Usa fa buon viso e proclama fiducia, ma assiste sgomento alla cacofonia degli europei che litigano tra loro anche in Messico. Unione bancaria europea, vaghe promesse di azioni a sostegno della crescita, è in queste due voci il magro bottino che emerge dal comunicato finale approvato al G20. Il primo aspetto è importante per arginare l’ondata di paura che sta sommergendo la Spagna. I tassi d’interesse stabilmente al di sopra del 7% sui bond di Madrid confermano che è stato un autogol dell’eurozona, quel pasticciato piano di aiuti alle banche spagnole che peggiorerebbe il debito sovrano. E allora ecco emergere al G20 una bozza di progetto “federalista” per dare solidità  ad un settore del credito in preda a una balcanizzazione. A Los Cabos gli europei parlano di costruire una vigilanza bancaria comune, una garanzia comune sui depositi dei risparmiatori, perfino
un fondo comune per la ricapitalizzazione delle aziende di credito. E’ il minimo che possano fare, sotto la pressione di Obama e quella ancora più aggressiva dei Brics. Accusati di essere il freno alla crescita mondiale, per uscire dall’accerchiamento gli europei aggiungono alle altre promesse anche il rafforzamento della Banca europea per gli investimenti e i project bond per le infrastrutture. Poi però la Francia precisa che il G20 non è la sede per entrare “nei dettagli”, e la Commissione di Bruxelles conferma che le sue proposte sull’unione bancaria
non saranno pronte prima dell’autunno. Un po’ di speranza, gli esponenti della Commissione la regalano alla Grecia, lasciando intendere che un ri-negoziato della loro austerity ci sarà , sia pure solo per quanto riguarda i tempi di attuazione dei sacrifici richiesti.
Angela Merkel non cede su un punto nevralgico: il ruolo di locomotiva che la Germania potrebbe esercitare spendendo di più per sostenere consumi e occupazione. «Quelle nazioni che possono permetterselo » spenderanno di più, solo a condizione che «la situazione
economica peggiori in modo sostanziale ». Chissà  quale ulteriore avvitamento nella recessione, alla periferia dell’eurozona, potrebbe far scattare a Berlino «manovre di bilancio a sostegno della domanda ». In ogni caso: niente di immediato. La Russia, che si fa portavoce dei cinque membri del club Brics (con Brasile India Cina e Sudafrica), «stigmatizza l’assenza di misure concrete». Alla fine, tutti devono far finta che il vertice sia servito a qualcosa, che ci sia un accordo generale, che dal G20 sia uscita una strategia per la ripresa e la creazione di lavoro.
In realtà  questo organismo ebbe solo una breve stagione felice, circoscritta al 2009. Fu quando la paura di un crac sistemico della finanza mondiale portò a coordinare alcuni interventi d’emergenza sulle banche, nonché l’accoppiata di maxi-manovre Usa-Cina per il rilancio della domanda interna. Dopo di allora, ognuno per sé.
A Los Cabos, “ognuno per sé” sembrava anche la nota dominante nel comportamento degli europei. Franà§ois Hollande ha cercato di dare una mano a Mario Monti e Mariano Rajoy, denunciando co-
me ingiustificati gli spread sui titoli spagnoli e italiani, «a fronte degli sforzi di risanamento dispiegati da quei due paesi». Poi però lo stesso Hollande ha dovuto ammettere che sulla Tobin Tax – sparita dall’agenda del G20 – ci si muove in ordine sparso. La Francia ha anche ribadito che non se ne parla di trasferire sovranità  nazionale alla Ue in campi come la spesa pubblica e il fisco, finché la Germania non cede sugli eurobond o su un piano da 120 miliardi di investimenti per la crescita. Il capolavoro lo ha messo a segno David Cameron quando ha detto – «scherzando, ma solo a metà » – che Londra stenderà  il tappeto rosso alle imprese che abbandoneranno la Francia a causa della pressione fiscale. Questo dispiegamento di solidarietà  e compattezza è avvenuto sotto gli occhi di Obama. Il quale ormai deve rivolgere altrove le sue speranze per una ripresa e per la rielezione: verso la sua banca centrale. Da ieri è riunita la Federal Reserve per un meeting del suo organo dirigente. I mercati, e la Casa Bianca, sperano che oggi la Fed annunci che riprenderà  le esercitazioni con l’artiglieria pesante. Cioè i massicci acquisti di titoli pubblici, per abbassare ancor più il costo del denaro a lungo termine, e irrorare di liquidità  l’economia americana. Non sono state operazioni miracolose in passato, ma meglio che niente.


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