L’Italia arranca: i redditi aumentano dello 0,8%, i prezzi del 3,3%

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ROMA – L’Italia arranca. Non ce la fa a stare al passo degli altri paesi europei. I salari non crescono ma aumentano, quelle sì, le disuguaglianze, come riferisce il “Rapporto sui diritti globali 2012”. (vedi lancio precedente) Donne e stranieri sono i più colpiti.
Il confronto con la media Ocse è impietoso: se la crescita media dei redditi è dell’1,7% all’anno, l’Italia si ferma allo 0,8%. Si allarga la forbice tra il 10% più ricco e il 10% più povero: per i primi l’aumento dei redditi è dell’1,1% (contro l’1,9% della media Ocse), per i secondi è dello 0,2% (1,3% nella media europea). Lo squilibrio è ancora più evidente se si leggono i dati della Banca d’Italia, secondo cui a fine 2008 la metà  più povera delle famiglie italiane deteneva il 10% della ricchezza, di cui il 45% era invece nelle mani del 10% più ricco. Se ci fossero dubbi, l’Istat mette in chiaro che nel 2010 il 20% più ricco deteneva il 37,2% della ricchezza, mentre al 20% meno abbiente restava l’8,2%.

I salari che non crescono dunque, mentre i beni di consumo non fanno che salire. A dicembre 2011 i prezzi sono cresciuti del 3,3%, le retribuzioni dei lavoratori dipendenti dell’1,5%. “Considerando l’aumento annuo delle retribuzioni orarie (+1,8%) e il livello d’inflazione (+2,8%) si arriva a un 1% di salario ‘mangiato’ dall’inflazione, il valore peggiore dal 1995” si legge nel rapporto. Sul fronte dei salari l’Italia, con i suoi 23mila euro lordi medi, è ben lontana da paesi come Olanda, Belgio, Germania e Francia, che variano tra 33mila e 40mila euro.
Va ancora peggio se si attua un confronto a livello contrattuale: tra un dipendente a termine a tempo pieno e un dipendente standard c’è un gap del 24%, che si traduce in 336 euro mensili. Le donne sono le più penalizzate: le lavoratrici dipendenti guadagnano il 20% in meno (1.096 contro 1.377 euro nel 2010), mentre se si considera solo il lavoro stabile e full time il rapporto passa rispettivamente a 1.532 e 1.929 euro. Più di una donna su 5 rinuncia al lavoro per maternità , matrimonio o altre ragioni familiari (il 22,4%), ma la nascita di un figlio è determinante nel 30% dei casi.

Quando si arriva alla pensione la situazione non migliora. Oltre duemila euro separano, secondo l’Inps, un dirigente (3.788 euro al mese) da un impiegato di settori pubblici nei trasporti (1.500 euro). Il divario è ancora maggiore considerando gli 861 euro dei lavoratori dipendenti e i 121 euro dei CoCoCo. In generale, il 50,8% delle pensioni non supera i 500 euro al mese, il 79% non va oltre i mille e solo il 10% sfonda la quota dei 1.500 euro. Anche qui, le donne pagano il conto più salato: le pensionate  dispongono di 961 euro al mese, mentre gli uomini di 1.300 euro. Tra queste, 2,4 milioni non raggiungono i 358 euro, 2,8 milioni i 721 euro e 2 milioni arrivano a 792.
Tra i più penalizzati ci sono gli stranieri, le cui famiglie percepiscono mediamente il 45% in meno delle italiane. Inoltre, il reddito familiare di questi nuclei familiari è in media di 14.469 euro, il 56% di quello delle famiglie italiane. La nazionalità , però, fa la differenza: si avvicinano di più agli italiani i polacchi (65,4%), meno gli ucraini (42,9%). (gig)

 

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