«Una vittoria che ridà  la spinta ai rivoluzionari del mondo arabo»

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Sono rassicurati, specie in questo periodo di grande difficoltà  per tutto il movimento delle cosiddette primavere arabe». È tutto sommato ottimista Eugene Rogan. Noto studioso dell’università  di Oxford del Medio Oriente moderno-contemporaneo (la sua recente storia degli arabi pubblicata in Italia da Bompiani è già  considerata un classico), vede nell’elezione di Mohammed Morsi alla presidenza egiziana un importante passo avanti nella lotta alle dittature così come sviluppate dalla decolonizzazione negli anni Cinquanta.
Non teme che il carattere antidemocratico dell’estremismo islamico possa di fatto uccidere lo spirito originario di apertura della primavera araba?
«Non c’erano molte alternative. Gli egiziani sono stati chiamati a scegliere tra Ahmed Shafiq, che rappresentava la vecchia giunta militare e la dittatura di Hosni Mubarak, e invece il cambiamento radicale incarnato da Morsi. Direi che hanno ottenuto il meglio possibile, date le circostanze. La restaurazione sarebbe stata molto peggio».
Al Cairo si parla già  di intese segrete con la benedizione di Washington tra Morsi e la giunta militare, che in realtà  detiene tutto il potere effettivo. Che ne pensa?
«Senza dubbio le avanguardie laiche che l’anno scorso hanno guidato le prime sommosse in piazza Tahrir sono state tradite. Posso capire la loro delusione. Ma ora saranno loro le prime a cercare di comprendere e denunciare le intese sottobanco tra Morsi e i militari. È nel loro diritto, anzi un dovere per lo sviluppo del Paese. Nei prossimi giorni si alzeranno la mattina pensando di essere state imbrogliate. Il loro attivismo rabbioso sarà  alla base delle nuove spinte democratiche».
La questione è se i Fratelli musulmani saranno disposti a lasciarli agire. Non dimentichiamo l’assassinio di intellettuali laici come Faruq Foda, il terrorismo islamico degli anni Novanta. Come vede tra l’altro le paure dei cristiani nel Paese?
«Condivido i timori dei cristiani. Pure, l’universo islamico in Egitto non è monolitico. Alcuni dei più estremisti tra i gruppi attivi negli anni Novanta, gli stessi che uccisero Foda, sono stati largamente battuti. Ci sono però i salafiti, che già  soffiano sul collo di Morsi, lo accusano di essere troppo moderato. Non sono pochi, alle elezioni parlamentari in dicembre hanno ricevuto il 25 per cento dei voti. Eppure il gruppo dirigente dei Fratelli musulmani potrebbe dimostrarsi molto pragmatico. Sono per la prima volta al potere e faranno del loro meglio per tenerlo. Non vogliono lo scontro frontale con le componenti laiche della società  egiziana. Intendono rassicurare la comunità  internazionale».
Che faranno con Israele?
«Il loro rapporto con Hamas nella striscia di Gaza sarà  molto migliore che la chiusura ostile di Mubarak. Però manterranno gli accordi di pace con Israele. Ricordano bene cosa è capitato al Libano, che nel 2006 non impedì all’Hezbollah di provocare Israele. E non vogliono affatto una nuova guerra. Certo non in questa congiuntura».
La primavera araba è in crisi?
«Le speranze sollevate dai movimenti del 2011 sono in dubbio. In Libia è lotta primitiva tra tribù e così anche in Yemen. In Siria la guerra civile miete migliaia di vittime e non se ne vede la fine. Nei Paesi del Golfo non ci sono progressi. Persino nella piccola e tutto sommato laica Tunisia, che era vista come il fiore all’occhiello del movimento di rinnovamento democratico, ora i salafiti estremisti minacciano le avanguardie progressiste, attaccano le studentesse laiche nelle università . Però queste sono difficoltà  direi inevitabili. Ogni rivoluzione ha i suoi alti e bassi».
È favorevole all’intervento internazionale in Siria?
«Sì. Ma non come quello della Nato in Libia l’anno scorso. Io sarei favorevole invece all’invio di 50.000 caschi blu con il mandato di impedire il massacro di civili».
Anche la Nato contro Gheddafi dichiarò inizialmente di voler difendere i civili. Poi arrivò sino a Tripoli.
«Sì, ma in verità  la missione non dichiarata sin dalle prime mosse mirava a defenestrare la dittatura. La Nato ha difeso le vittime di Gheddafi, ma non i lealisti dall’aggressione delle milizie ribelli. In Siria ci saranno sicuramente massacri di civili fedeli al regime di Bashar al Assad dovessero vincere i rivoluzionari. Compito delle truppe Onu sarebbe dunque creare delle zone cuscinetto in tutto il Paese per evitare una situazione di pulizia etnica come avvenne nella ex Jugoslavia degli anni Novanta. Ma toccherà  poi alle forze sul campo di negoziare tra loro la Siria del futuro. Non può essere imposta dalla comunità  internazionale».


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