“Doveva lasciare prima della conta si è comportato come Luigi XIV”

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MILANO – Rapida ed efficace, l’operazione di sostituzione del management Generali è andata in porto. Un blitz quasi da manuale, non fosse stato per quella “letteraccia” diffusa da Giovanni Perissinotto che lo ha un po’ sporcato, per il suo rifiuto di giocare la parte che la maggioranza dei soci e consiglieri gli aveva disegnato dopo 32 anni. «E’ stata una lettera molto inelegante, oltre che piena di falsità , un boomerang che, ci fossero stati dei dubbi sulla sua permanenza al vertice, li avrebbe sciolti», è il commento mormorato nell’istituto fondato da tale Enrico Cuccia. Uno che soleva dire: «Un banchiere può commettere due peccati: quello veniale è scappare con la cassa, quello mortale è parlare».
Ieri mattina, nella sede milanese del Leone, si è parlato molto di quella lettera, in cui Perissinotto ha accusato Mediobanca di arrogarsi «diritti speciali» su Trieste, considerandola come una sua provincia. E ha criticato il progetto di salvataggio di Fonsai targato Unipol, e il patrimonio di questa. La mossa ha irritato forse più di Mediobanca gli altri soci e consiglieri, che hanno sempre meno voglia di sentirsi spettatori nel matrimonio di interessi tra il Leone e la merchant. Anche perché perdono centinaia di milioni nell’investimento su Generali. A questi prezzi, forse mezzo miliardo a testa De Agostini e Del Vecchio, circa la metà  Caltagirone ed Effeti. Anche Mediobanca, che ha in carico il 13,2% di Generali al prezzo storico di 10 euro, ha visto erodersi le plusvalenze miliardarie del passato. E pure gli l’apporto di utili, consolidati per linea. Nel 2008, Piazzetta Cuccia realizzava un miliardo di profitti, di cui 400 milioni in arrivo da Trieste; nel 2011 gli utili erano scesi a 368 milioni, di cui 200 dal Leone. E l’esercizio in corso sarà  ancor peggio, con 100 milioni in quota Generali e un risultato a fine giugno che potrebbe anche non essere per niente positivo. «Da tre anni le partecipate ci portano solo rogne», ha detto di recente Alberto Nagel, ad di Mediobanca il cui titolo è a sua volta sui minimi, tanto che non si annuncia un’assemblea da tappeti rossi per lui, a ottobre. 
Da chi più perde del suo, sono venute le parole più dure verso la gestione Perissinotto, ieri e in passato. «Si è comportato con egoismo e tracotanza mettendo se stesso al di sopra della compagnia – dice uno dei “congiurati” – sembrava Luigi XIV, l’etat c’est moi… Avrebbe dovuto dimettersi prima, senza arrivare alla conta». Anche Paolo Scaroni, manager di lungo corso in Eni e in Enel, ieri avrebbe detto al friulano: «Da tempo sostengo che non sei la figura giusta per questo incarico». Interventi a sostegno di Perissinotto nel consiglio sono venuti, invece, da Pedersoli, che avrebbe contestato le modalità  brutali della sostituzione; da Della Valle, che già  all’entrata definiva «un pasticcio» l’operazione; e da Petr Kellner, imprenditore di Ppf che ha lamentato la pochezza dei rilievi alla gestione.
Lui, Perissinotto, ha parlato poco, dell’assenza di particolari rilievi critici, di come Generali in Borsa paghi le colpe macro del Paese. E ha sollevato un’eccezione di legittimità , sul fatto che la formulazione dell’ordine del giorno non fosse adeguata per poter deliberare la sua sostituzione. Appello che ha trovato sponda nel collegio sindacale. Si vedrà  se c’è materia per carte bollate, com’è stato con Antoine Bernheim e con Geronzi. Per ora Perissinotto resta consigliere dell’azienda dove ha passato tutta una vita professionale. Ma quell’azienda centenaria, da oggi, guarda già  al futuro e cerca di farlo con occhi nuovi, per risalire una china che si sta facendo dolorosa. Qualcuno ricorda il “rischio Comit”, implosa nella sua endogamia manageriale. A Trieste toccherà  a Mario Greco. «E’ il candidato migliore – si dicono i soci “congiurati” – lavora in Svizzera, è al di fuori dei giochi di potere italiani, ci interessa solo che porti buoni utili a Trieste».


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