Quella faglia in movimento tra Finale e Ferrara ecco perché la Pianura Padana può tremare ancora

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Non sappiamo prevedere i terremoti con precisione, è vero, ma i segnali che ci arrivano dalla geologia dell’area non vanno presi alla leggera». Ne sanno qualcosa gli esperti che facevano parte della Commissione Grandi Rischi al tempo del sisma dell’Aquila. Alcuni di essi proprio in questi giorni si trovano sotto processo per aver sottovalutato la possibilità  di un sisma importante in Abruzzo. Così come, dopo lo sciame di terremoti in Emilia Romagna, sotto accusa sono finite le mappe ufficiali della pericolosità  sismica, che classificano la Pianura Padana come area a rischio “medio basso”. Ma sorprendentemente la Commissione oggi sostiene che non c’è alcun bisogno di rivedere quelle carte.

L’effetto domino / In diciotto giorni gli epicentri hanno “percorso” 50 km    


Sotto al terreno lungo la Pianura Padana corre da est a ovest un fronte detto “sismogenetico” perché può generare terremoti. Le scosse iniziate il 20 maggio hanno coinvolto la parte centrale e occidentale di questo fronte (tra Finale e Mirandola) e la Commissione Grandi Rischi sostiene che in quella zona l’energia sotterranea si stia scaricando. Il fronte sismogenetico però è diviso in tante pieghe, dette faglie. Le faglie si accavallano l’una sull’altra in forme complesse e quando in una scatta un sisma è probabile che il rilascio di energia attivi anche le altre. Con questo “effetto domino” dal 20 maggio gli epicentri hanno percorso 45-50 chilometri. La Commissione non esclude che l’attivazione delle faglie stia continuando a propagarsi anche ora, questa volta verso est.

Il nuovo scenario / Lo sciame si muove verso est e provoca settimane di scosse    


L’allarme della Commissione Grandi Rischi riguarda soprattutto le faglie comprese tra Finale Emilia e Ferrara, cioè la parte orientale del “fronte sismogenetico” che si è attivato il 20 maggio. I due centri distano circa 35 chilometri l’uno dall’altro e poiché la lunghezza media di una faglia è di una decina di chilometri, i “pezzi del domino” coinvolti nello sciame sismico sarebbero più di uno. Questo vuol dire che il fenomeno potrebbe durare giorni o settimane, e che la magnitudo potrebbe raggiungere lo stesso livello delle prime, grandi scosse, superando i 5 gradi. Altre analisi però vanno in controtendenza rispetto alla Commissione: il sisma di Ferrara del 1570 ha già  scaricato molta energia e la tensione può impiegare un millennio a tornare ai livelli iniziali.

Il quadro tettonico / Da Ravenna fino a tutto il Veneto così il sisma potrebbe estendersi    


Anche se è meno probabile, la Commissione Grandi Rischi non esclude che si attivino faglie diverse da quelle di Finale, Mirandola o Ferrara. Questo in realtà  è già  successo con il sisma del 6 giugno a Ravenna. In quell’occasione il terremoto non è scattato in una delle faglie che si accavallano l’una sull’altra a una profondità  che raggiunge i 10 chilometri. L’ipocentro era collocato invece più in profondità  (oltre 25 chilometri) nel basamento sul quale le faglie scorrono, che si sta piegando verso il basso a causa del movimento verso nord-est della placca Adriatica. Tensioni geodinamiche simili sono state registrate anche nelle faglie più settentrionali, in Veneto. Dello stesso quadro tettonico fanno parte anche le scosse di gennaio a Parma e Reggio Emilia.

Le carte e le case / Aggiornare i criteri di pericolosità  e ridurre la vulnerabilità  edilizia    


In tutto il mondo le mappe di pericolosità  sismica vengono aggiornate ogni 5-10 anni. In Italia le cartine ufficiali sono state elaborate nel 2003 e recepite dalla Gazzetta Ufficiale l’anno successivo. Il fatto che la pericolosità  nella zona del sisma fosse classificata come “medio-bassa” ha spinto molti a mettere in dubbio l’attendibilità  di queste mappe, anche perché l’attività  geodinamica di quell’area è molto intensa. Ma alle critiche oggi la Commissione Grandi Rischi risponde: «Non ci sono elementi per concludere che la sequenza sismica emiliana si collochi al di fuori della normativa vigente», invitando piuttosto chi si occupa di costruire gli edifici a «ridurre la vulnerabilità  del patrimonio edilizio».


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