Rehn: Paese ancora fragile Affronti gli squilibri irrisolti

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BRUXELLES — Rattoppata in prospettiva la voragine di Madrid, e consegnati ai prossimi incubi gli eventi elettorali in Grecia, l’eurozona guarda già  con preoccupazione ad altri suoi Paesi, e fra questi c’è l’Italia: in pieno Parlamento di Strasburgo, il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha detto ieri che il nostro Paese «fronteggia seri squilibri a causa del peggioramento delle esportazioni e della perdita di competitività  esterna da un decennio», e ha accomunato per questo l’Italia alla Francia. Tutto ciò mentre altre fonti europee, citate dalle agenzie di stampa, facevano notare che le decisioni prese per la Spagna «giovano anche all’Italia», anche se «il giovamento non arriverà  in 24 ore». Certo, questa non era che la risposta a una domanda, e del resto un’altra risposta l’aveva appena data Amadeu Altafaj, il portavoce di Rehn, spiegando che l’aiuto a Madrid «è un buon risultato non solo per la Spagna e per i cittadini spagnoli, ma per l’Europa nel suo insieme… un importante contributo per salvaguardare l’euro»: ma il richiamo esplicito all’Italia, se pur come auspicio in positivo, un po’ di impressione l’ha ugualmente destata. Anche perché, nei giorni scorsi, l’agenzia di rating Moody’s aveva ammonito che per l’Italia i più seri pericoli di contagio finanziario arrivano da Madrid. E anche perché, proprio ieri, l’istituto nazionale di statistica Istat ha diffuso dati sconfortanti: il prodotto interno lordo italiano è calato dello 0,8% su base trimestrale e dell’1,4% nell’arco di un anno. «Non che siano dei dati di cui non essere preoccupati, ma sono quelli che avevamo previsto per quest’anno per il nostro Paese — ha commentato il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera in un dibattito a Milano, alla Fondazione Corriere della Sera —. Tutti gli organismi di ricerca danno per scontato che quest’anno sia un anno di recessione. È la ragione per cui dobbiamo impegnarci tutti per fare uscire il più velocemente possibile il Paese dalla recessione». Viene sempre da fonti Ue la riflessione beneaugurante che «lo strumento migliore per l’Italia per superare le tensioni è la risposta che viene da Roma, e il governo italiano ha chiaramente l’intenzione di costruire misure per consolidare la fiducia». Ma ogni giorno che passa porta altre preoccupazioni. Così Rehn può riproporre dall’Europarlamento il suo progetto, che pare poi essere lo stesso del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, sull’integrazione definitiva dell’Unione economica e monetaria: deve infatti avvenire, dice, «nel breve termine» con «l’istituzione di un’unione finanziaria», ma i tuoni che scuotono le banche e i governi di tanti Paesi sembrano attutire e allontanare la sua voce. Anche quando precisa: «I principali mattoncini per costruire un’unione finanziaria dovrebbero comprendere una maggiore sorveglianza comunitaria, un’autorità  di risoluzione e uno schema unico di garanzie sui depositi». L’emergenza però incalza. E così a Bruxelles si torna a mormorare di un piano straordinario per l’uscita della Grecia dall’euro, che prevederebbe chiusure parziali degli sportelli Bancomat e controlli alle frontiere. E poi si discute su quale canale dovrà  convogliare a Madrid gli aiuti promessi, se il Fondo salva Stati Efsf attualmente esistente, o quello Esm, il fondo definitivo che lo sostituirà  da luglio. Non è solo una questione di sigle: in molti preferirebbero l’Esm perché questa soluzione consentirebbe di non caricare i prestiti concessi sul groppone dei debiti nazionali. Ma se invece si sceglierà  il canale Efsf, ci sarà  almeno uno sbarramento: la Finlandia, Paese ricco con un rating da «tripla A» e collegato strettamente alla Germania di Angela Merkel, ha annunciato che in quel caso chiederà  garanzie collaterali per concedere i suoi prestiti: gli altri Paesi dovranno accettare, «e questa è l’unica possibilità », ha avvertito il ministro dell’Economia. Helsinki si è impegnata per 13,9 miliardi nel capitale Efsf, vuol farsi sentire. E ha in casa una bellicosa opposizione populista: «La Finlandia non deve dare a Madrid un centesimo», tuona Timo Soini, leader dei «Veri finlandesi». Di questi tempi, anche una voce così può alzare un po’ di polvere in Europa.


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