Via libera del Senato alla riforma lavoro

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ROMA – Via libera del Senato alla riforma del Lavoro. Dopo i quattro voti di fiducia incassati dal governo tra ieri e mercoledì sui quattro maxi-emendamenti in cui il provvedimento è stato diviso (flessibilità  in entrata e in uscita, ammortizzatori, formazione), il ddl è pronto per l’esame della Camera, dove i tempi saranno altrettanto brevi per consentire la conversione in legge entro giugno. «È il mio auspicio», insiste il ministro Fornero, viste anche «le esortazioni sul piano internazionale» a fare presto. Ma «non so se il testo sarà  blindato».
«Faremo le valutazioni che saranno necessarie», aggiunge il premier Monti, ieri in aula per il voto finale sull’intero blocco, soddisfatto di una riforma che definisce «di profonda struttura», nata da un dibattito «intenso e giusto», fatta «per il bene dei giovani e non per il plauso delle categorie», soprattutto apprezzata da «organismi imparziali», quali Ocse, Fmi e Commissione europea. Un «tassello importante di un disegno più ampio», per il ministro del Welfare, che «non cancella le garanzie dei lavoratori», ma riconsegna all’Italia un articolo 18 «europeo». Non così la Cgil che contesta il ricorso alla fiducia e bolla la riforma come «pasticcio inestricabile». Un testo «squilibrato», secondo il segretario Camusso che rincara: «È esattamente ciò che non serve al lavoro e al Paese». Per questo, «la mobilitazione della Cgil continua, decideremo quando e come». E sull’eventualità  di uno sciopero generale, risponde secca: «Vedremo».
Cambia, dunque, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Tre tipologie di licenziamento: discriminatorio, economico e disciplinare. Il primo sempre nullo. Il secondo, se illegittimo, consente il reintegro solo in casi di «manifesta insussistenza». Il terzo, solo sulla base dei casi previsti dai contratti collettivi (non più anche dalla legge). Minore discrezionalità  dei giudici, maggiore chance di indennizzo. La procedura di conciliazione, poi, non sarà  bloccata da malattie “fittizie”. Per quanto riguarda la flessibilità  in entrata, arriva il salario di base per i cocopro, la cui indennità  di disoccupazione “una tantum” viene rafforzata (6 mila euro per almeno 6 mesi di lavoro in un anno). Le partite Iva “vere” saranno quelle che fatturano più di 18 mila euro l’anno e con competenze “elevate”. In via sperimentale, fino al 2015, il lavoratore può incassare l’Aspi (il nuovo ammortizzatore sociale) in un’unica soluzione per avviare un’attività  di lavoro autonomo. Nelle aziende con meno di 10 addetti il rapporto tra apprendisti professionisti non può superare quello di 1 a 1. Se l’azienda che impiega apprendisti non rispetta il vincolo di stabilizzazione (30% nei primi tre anni, 50% a regime) dopo 36 mesi potrà  assumere solo un apprendista “una tantum”. E poi basta.


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