Visite ed esami in calo gli italiani scoprono che il medico può attendere

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La sanità  pubblica italiana sta facendo marcia indietro. Dall’estate dell’anno scorso, quando è stato introdotto il nuovo ticket, si calcola un calo del 3% circa di visite specialistiche, esami e accertamenti diagnostici, che in assoluto vuol dire qualcosa come 35-40 milioni di prestazioni in meno in un anno. Ma il dato della riduzione può essere considerato anche superiore. Da molto tempo, infatti, le prestazioni ambulatoriali registrano una crescita tendenziale di circa il 4% ogni dodici mesi. Mettendo insieme i due dati si evidenzia un crollo della domanda del 7%, cioè 90 milioni di visite ed esami. Non basta. Secondo molti osservatori il calo di quest’anno è molto più accentuato di quanto registrato finora e del resto basta osservare cosa succede in alcune Regioni per capire che siamo di fronte ad un fenomeno ancora più eclatante. Grandi realtà  come Veneto e Toscana assistono a una riduzione dell’attività  ambulatoriale pubblica e convenzionata del 10%, l’Emilia è intorno al meno 5%. La Liguria è a meno 4% e dall’Umbria dicono di essere intorno al meno 3%. Più o meno come la Lombardia, dove il calo c’è e si sente, come sostengono dagli uffici regionali, ma non arriverebbe alla media italiana. 
Tra l’altro, da quando a settembre sono stati introdotti i nuovi ticket, c’è un’altra riduzione, che in questo caso non comporta un segno meno ma è comunque significativa. Il numero di ricette per ritirare farmaci prescritti dai medici di famiglia e dagli specialisti invece di aumentare di nuovo di un 4%, come è avvenuto negli ultimi anni, è cresciuto solo di uno 0,5%. In questo caso c’è stato un arresto della crescita, che per i sistemi sanitari regionali significa una spesa minore per rimborsare i medicinali ai cittadini di quella attesa.
Cosa sta succedendo? Gli esperti si sforzano di dare una spiegazione dei dati. Le ipotesi sono più d’una. Di certo ha influito il superticket introdotto tra luglio e settembre, che ha alzato il prezzo delle prestazioni del servizio pubblico. E di certo c’entra qualcosa la crisi, che sta tagliando tutti i consumi. Quello che è difficile capire è se chi non si rivolge al pubblico scelga un privato, magari low cost, dove una visita costa poco più che in ospedale a causa della nuova tassa e dove gli appuntamenti richiedono attese più brevi. «Di sicuro stiamo vivendo l’effetto della crisi. Contrae tutti i consumi, anche quelli sanitari», dice Carlo Lusenti, assessore alla salute dell’Emilia Romagna. «Ma anche il costo del ticket incide, perché per fare una batteria di esami la spesa è diventata significativa – prosegue – Credo invece che il passaggio dei pazienti al settore privato sia più marginale». Ma lavorare meno, per le Regioni è un bene o un male? «Se fossimo di fronte ad una riduzione di accertamenti che non servono, cioè inappropriati, intanto sarebbe positivo per i cittadini. Per quanto ci riguarda, se le visite scendono del 5% non significa che riduciamo della stessa percentuale il personale o le attrezzature sanitarie. Quindi la spesa per noi resta la stessa». L’assessore alla salute del Veneto Luca Coletto vede nero: «Questo rallentamento della sanità  pubblica è un segnale pericoloso. Temo che qualcuno possa rinunciare ad accertamenti importanti. Certo, c’è sicuramente anche una quota di riduzione dell’inappropriatezza ma è grave che ci rimettano i più bisognosi, quelli che hanno disponibilità  economiche più limitate». Anche l’assessore alla salute della Liguria Claudio Montaldo teme conseguenze per i pazienti: «Speriamo che nessuno rinunci a prestazioni importanti per non spendere». Il professor Cesare Cislaghi è consulente di Agenas (l’agenzia sanitaria delle Regioni italiane) nel settore dell’economia sanitaria e si occupa tra l’altro di ticket. Anche secondo lui il meno 3% di visite ed esami è sotto stimato, di almeno un punto percentuale. «Sicuramente c’è un passaggio dei pazienti al privato, soprattutto quello no profit che offre tariffe vicine a quelle del servizio pubblico con il ticket e ha tempi di attesa più brevi. Poi c’è la crisi, che sta facendo diminuire tutti i consumi e forse anche quelli sanitari».


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