Amx all’attacco tricolore

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KABUL – «Non c’è alcun dubbio: nei giorni scorsi nella provincia di Farah, in particolare nel distretto del Gulistan, c’è stata un’ampia offensiva militare, a cui hanno partecipato anche i caccia italiani, che hanno bombardato l’area dove si riteneva che ci fossero esponenti dei movimenti antigovernativi». È sicuro Rahmat Sakut di quel che è accaduto a fine giugno nel Farah, una delle quattro province afferenti al Comando regionale occidentale delle forse Isaf-Nato, sotto responsabilità  italiana. Rahmat Sakut vive nella città  di Farah, dove c’è Human Rights Assistant per la missione Onu in Afghanistan (Unama). Quando lo raggiungiamo al telefono, ci conferma quanto è stato reso noto alcuni giorni fa dall’analista Andrea Gaiani sul Sole24 ore e poi ammesso sia dal tenente colonnello Francesco Tirino, portavoce del contingente italiano, sia da Luigi Chiacchierini, il comandante delle operazioni italiane: a partire dal 27 giugno quattro cacciabombardieri AMX Acol del 51esimo Storno dell’Aeronautica militare sono stati attivamente impiegati nell’operazione «Shrimp Net», una vasta offensiva che ha coinvolto circa 3mila militari delle Task Force South East, Center e South: soldati italiani, afghani e americani impegnati in due dei distretti più turbolenti dell’intera area occidentale, Gulistan e Bakwa.
Non è la prima volta che gli italiani conducono vere e proprie operazioni di guerra nella provincia di Farah, come ha attentamente documentato per gli anni passati Germano Dottori nel capitolo «Italiani in guerra» nel volume Afghanistan: crisi regionale, problema globale (Clueb 2011). Più recente è invece l’uso dei bombardamenti aerei (gli AMX erano dotati di bombe a guida laser e satellitare Gbu-16 e Gbu-32 e di ordigni ad alta precisione), avallati a fine gennaio dal ministro Di Paola in Commissione Difesa di Camera e Senato, senza alcun dibattito parlamentare.
«A me risulta che gli italiani abbiano già  compiuto altri bombardamenti aerei nei mesi scorsi, diversi membri delle forze di sicurezza afghane ce l’hanno detto chiaramente, anche se non ho indicazioni più dettagliate», aggiunge Rahmat Sakut, per il quale l’operazione «Shrimp Net» sarebbe durata diversi giorni e avrebbe condotto alla cattura o uccisione di Taleban e al ritrovamento di esplosivi: «Si è trattato di una prolungata operazione di cleaning, come la definiscono i militari in gergo, per eliminare gruppi di insorti e stabilizzare l’area».
Sui risultati dell’operazione ragioniamo con il giornalista Abdul Rahman Zwandaj: «Secondo i resonconti ufficiali, sono stati catturati o uccisi una trentina di Taleban. Difficile confermare – spiega al telefono da Farah. E difficile valutare ora i risultati dell’operazione, e a chi attribuire l’uccisione dei Taleban, se agli americani o agli italiani». Quanto all’obiettivo, quello di stabilizzare il distretto del Gulistan, zona di raccordo cruciale con le ancor più problematiche province del Sud-est, Zwandaj è scettico: «Quello che oggi viene presentato o sembra un successo, domani potrebbe rivelarsi controproducente, qui da noi le cose vanno valutate sul lungo periodo». Gli italiani a ottobre lasceranno la responsabilità  della sicurezza dell’area nelle mani afghane (come hanno appena fatto per la base avanzata «Mono», nel distretto di Bala Murghab, nella provincia di Badghis, al confine con il Turkmenistan), «ma i problemi con i Taleban rischiano di diventare ancora più gravi». Secondo Zwandaj, ci sarebbe per esempio un legame tra l’offensiva «Shrimp Net» e l’attacco sferrato il 7 luglio dai Taleban contro il compound del governatore di Farah, che ha causato venti feriti e una vittima civile. Quello del 7 luglio «potrebbe essere la prima risposta dei Taleban all’attacco delle forze internazionali, e altre potrebbe seguire».
Anche Farid Ehsas, ex giornalista, ora funzionario del Dipartimento per la riforma amministrativa di Farah, è preoccupato: «La situazione è peggiorata non solo nei distretti considerati da sempre pericolosi, ma anche qui in città . I Taleban hanno cambiato tattica: oltre agli attacchi come quello di pochi giorni fa, ora ricorrono alle esecuzioni mirate in città , prendendo di mira esponenti governativi, sia civili che militari. Il clima è davvero teso», spiega al telefono.
Per il dottor Abdul Jabar, direttore del settore sanitario per l’intera provincia di Farah, «le operazioni militari vanno fatte, certo, ma da sole non bastano. Sono più di dieci anni che la comunità  internazionale è in Afghanistan -argomenta – e di risultati se ne vedono ben pochi. Qui a Farah, per esempio, la gente è molto disillusa, e la disillusione genera risentimento, che a sua volta ingrossa le fila dei combattenti». Per rimediare, il dottor Abdul Jabar suggerisce di invertire la rotta fin qui seguita: «servono più investimenti nel settore civile, nella ricostruzione, nella salute, nell’educazione, e un progressivo disimpegno militare, non una escalation». Anche il governo italiano ha promesso qualcosa di simile: prima lo ha fatto il presidente del Consiglio Monti, il 26 gennaio a Roma, durante la presentazione dell’accordo bilaterale siglato con il presidente afghano Hamid Karzai; pochi giorni fa è stato ribadito a Tokyo, alla conferenza internazionale sull’Afghanistan, dalla delegazione italiana e dal sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura. In attesa che il governo dia seguito all’impegno per la ricostruzione civile, i caccia italiani possono continuare a sganciare bombe.


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