Bankitalia: -30% di mutui ai giovani

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ROMA â€” Le banche tornano sul banco degli imputati nello spietato processo che cerca i colpevoli della crisi. Un micidiale uno-due le ha chiamate in causa ieri su due fra i fronti più caldi, mutui e
credit crunch. Sul primo, uno studio di Bankitalia ha confermato quello che tanti giovani alla ricerca della prima casa avevano già  capito: la crisi ha congelato il mercato dei mutui, diminuiti – come numero di contratti conclusi dalle banche – del 20% nei quattro anni dal 2007 al 2001 rispetto al quadriennio precedente. Ma per gli under 35 il quadro è peggiore: -30% di mutui assegnati, sempre rispetto al 2007. Naturalmente non è solo colpa delle banche: l’aumento della disoccupazione, la riduzione dei redditi e la debolezza del mercato immobiliare (tutti byproduct della crisi) hanno giocato la loro parte. Sono anche diminuite le domande, insomma. Ma gli istituti si sono irrigiditi, riconosce Bankitalia, stretti a loro volta fra «il peggioramento delle condizioni di accesso alle fonti di finanziamento (il blocco del mercato interbancario, ndr), l’inasprimento dei vincoli di bilancio (i ratio chiesti dall’Ue e dai trattati di Basilea, ndr)
e il deterioramento della qualità  dei prestiti (l’aumento delle sofferenze, ndr)». I giovani hanno avuto la peggio. «Le banche hanno adottato criteri più selettivi nei confronti della clientela caratterizzata da maggiore rischiosità », si legge nel rapporto, che poi riporta delle stime da cui si ricava che chi ha meno di 35 anni ha una probabilità  di entrare in sofferenza superiore del 25% alla media. Conclusione: ormai non più del 36,4% degli intestatari di un mutuo sono giovani minori di 35 anni (il 5,3% in meno rispetto a quattro anni fa). Ancora peggio è andata agli immigrati: nel periodo 2004-07 rappresentavano l’8,2% del totale dei mutui erogati, ormai non superano il 4,5%. Dal fronte “stretta creditizia” arrivano notizie non migliori. Stavolta è la Cgia di Mestre ad attaccare: «Dopo i 255 miliardi di finanziamenti ricevuti negli ultimi sei mesi dalla Bce a un tasso dell’1% scrive l’organizzazione veneta – le banche italiane hanno ridotto i prestiti alle famiglie per 1,29 miliardi, pari ad un -0,3%, e alle imprese che hanno avuto 7,9 miliardi in meno, ovvero -0,8%. Ma intanto hanno aumentato del 44,3%, pari ad un incremento di 92,89 miliardi, l’acquisto di titoli di Stato». Insomma, le banche hanno preso alla lettera l’indicazione che è venuta direttamente da Mario Draghi al momento di varare l’intera operazione Ltro (
long term refinancing operation): i fondi che elargiamo con tanta generosità  dovranno servire innanzitutto ad acquistare titoli di Stato. Magari non ha detto esclusivamente, però va ricordato che alla base c’era ancora un’altra iniziativa: l’improvvida delibera con cui l’Eba (European banking association) intimava alle banche il mark-to-market dei bond in portafoglio, cioè la contabilizzazione a bilancio non dei valori di carico ma dei valori di mercato in quel momento, metà  2012. E siccome in quel momento il mercato dei titoli di Stato, specialmente italiani, era disastroso, ecco la disperata richiesta alla Bce di finanziamento. È pur vero che il sostegno offerto dai
bond riacquistati è stato decisivo per rianimare il mercato e contenere così i tassi che simmetricamente erano schizzati. Lo stesso Giuseppe Bortolussi, capo della Cgia, riconosce: «Se le banche hanno acquistato i titoli di Stato in maniera così massiccia, non possiamo disconoscere che ciò ha contribuito a immettere una forte liquidità  nel sistema salvando il Paese dalla bancarotta». Insomma, hanno colto l’occasione per investire sul sicuro anziché rischiare insieme a famiglie ed imprese. Così nasce un credit crunch.


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