Il ricorso del Quirinale alla Consulta

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ROMA — In tempi strettissimi, appena due settimane dopo l’annuncio da parte del Quirinale, l’Avvocatura dello Stato ha depositato alla Corte Costituzionale il ricorso per conflitto di attribuzione della Presidenza della Repubblica contro la Procura di Palermo per le decisioni che essa ha assunto sulle intercettazioni di conversazioni telefoniche del capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
Il deposito formale del ricorso permetterà  alla Consulta di mettere in calendario la causa alla ripresa di settembre. Innanzitutto vagliando in camera di consiglio l’ammissibilità  del conflitto, inaudita altera pars, cioè senza il coinvolgimento della difesa della Procura di Palermo. La camera di consiglio della ripresa è fissata il 18 settembre. Ma solo dieci giorni prima si potrà  verificare se il ricorso è fissato nel ruolo. Così dovrebbe essere però, visto che illustri costituzionalisti, come l’ex presidente Piero Alberto Capotosti, ritengono che per la delicatezza della questione di cui è stata investita la Consulta, sarebbe auspicabile che non ci siano tempi morti oltre le scadenze processuali fissate per legge. «Dello stesso parere, espresso a livello personale, e cioè che è necessario che la Corte si pronunci al più presto» anche l’Avvocato generale dello Stato, Ignazio Francesco Caramazza, un’autorità  in materia di conflitti tra poteri dello Stato. 
Scontato, invece è l’esito del primo vaglio da parte della Consulta, poiché il conflitto è palesemente ammissibile. Meno scontati i tempi che la Corte concederà  per la notifica dell’ordinanza di ammissibilità : potrebbero essere 60 ma anche solo 30 giorni. A novembre quindi la causa potrebbe essere messa a ruolo nel merito, con una sentenza che potrebbe arrivare nei primi due mesi del nuovo anno. 
Il nodo giuridico da sciogliere sta tutto nel fatto che quelle intercettate su disposizione della Procura di Palermo, in relazione alla presunta trattativa Stato-mafia condotta nei primi anni ’90, sono conversazioni telefoniche tra il capo dello Stato, Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, sulle utenze di quest’ultimo che nell’inchiesta è indagato per falsa testimonianza. Le intercettazioni che riguardano Napolitano, quindi, sono indirette, o meglio «casuali» e quindi, secondo la Procura di Palermo escluse dal divieto previsto dalla legge 219 del 1989 (per cui il capo dello Stato può essere intercettato solo dopo che sia stato sospeso dall’incarico durante la procedura di impeachment per alto tradimento). E appunto sulla legge 219 punta tutto il ricorso depositato ieri. 
Mentre la Procura di Palermo potrà  usare a proprio sostegno la sentenza della Consulta 390 del 2007, relatore Flick, sulle intercettazioni indirette dei parlamentari. Il contenuto delle intercettazioni di Napolitano non è mai stato reso pubblico, ma la notizia è filtrata ugualmente. Per la Procura le intercettazioni sono irrilevanti ai fini dell’inchiesta, ma non ne hanno disposto la distruzione.


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