“Italia decisiva, ma la strada resta in salita”

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NEW YORK â€” Applausi a Mario Monti; primi dubbi sull’efficacia delle misure salva-euro. La reazione degli Stati Uniti dopo il vertice europeo è bifronte. Il premier italiano ne esce come un trionfatore, i commenti americani sono unanimi su questo: lo designano come il vero artefice del via libero tedesco per gli aiuti alle banche e lo scudo anti-spread. Su tutti spicca il
New York Times che dedica la sua analisi al ruolo di Monti, con il titolo: “Il premier italiano spinge la cancelliera tedesca verso la crescita”. Il quotidiano sottolinea: «Angela Merkel si è trovata di fronte un oppositore tenace che l’ha costretta a capitolare, la vera sorpresa è che sia stato Monti, il tecnocrate che lei stessa aveva contribuito a far salire al governo». Il presidente del Consiglio viene descritto come «il leader incontrastato dello schieramento pro-crescita, che ha persuaso la Merkel a compiere uno dei più importanti passi verso l’integrazione, da quando è iniziata questa crisi».
L’analisi si sofferma sull’intesa tra il premier italiano e Barack Obama, ricorda i numerosi colloqui in cui i due hanno messo a punto un gioco di sponda. Cita l’ambasciatore Usa a Roma, David Thorne secondo il quale la strategia di Monti «è pienamente apprezzata a Washington». Più ancora di Hollande, l’italiano è decisivo nei nuovi equilibri europei «perché in virtù della sua esperienza da economista, se c’è qualcuno a cui la Merkel può cedere senza perdere la faccia, è lui». Il bilancio si conclude sul ruolo dell’Italia, «ritornata sulla mappa diplomatica europea, con una posizione rafforzata proprio mentre l’asse franco-tedesco non funziona più come una volta».
Identico è il giudizio espresso dal Wall Street Journal, anche il quotidiano economico elogia Monti per la «durezza tattica dispiegata nella maratona notturna di Bruxelles, sorprendente per un professore dai modi gentili». Il Wall Street Journal aggiunge una nota maliziosa nella sua analisi citando «diverse fonti europee» secondo le quali a rafforzare il potere contrattuale del premier italiano al summit c’è stata una minaccia implicita sullo sfondo: «Se Monti non avesse spuntato le concessioni che chiedeva, le prossime elezioni italiane avrebbero riportato al potere Silvio Berlusconi».
Ai toni positivi su Monti, non corrisponde però un giudizio altrettanto esaltante sulle soluzioni emerse venerdì a Bruxelles. Tutta la stampa Usa, nonché gli esperti di Wall Street e gli economisti ascoltati dalla Casa Bianca, invitano alla cautela. Ricordano che in passato c’è stato un “effetto sollievo”, o perfino una fase di euforia, dopo vertici che sembravano risolutivi e non lo sono stati affatto. Lo stesso New York Times indica due grandi nodi irrisolti: «Mancanza di un prestatore di ultima istanza; e squilibri strutturali». Il primo punto riguarda gli eurobond che la Merkel continua a escludere: la «messa in comune del debito sovrano » sarebbe la risposta più efficace ai dubbi dei mercati sugli Stati più fragili. L’altro dubbio, ancora più di fondo, investe la capacità  delle economie italiana e spagnola di recuperare il divario di competitività  rispetto alla Germania senza poter usare la svalutazione. Visto dagli Stati Uniti questo è il peccato originale dell’Unione monetaria, una gabbia soffocante per quei Paesi che non reggono la sfida con la macchina da guerra dell’export made in Germany.
Le stesse decisioni positive annunciate a Bruxelles, vengono prese con beneficio d’inventario dagli osservatori americani. Sullo “scudo” dello spread che porta la firma di Monti, cioè l’uso del fondo salva-Stati per acquisti di bond che impediscano allo spread di allargarsi oltre una certa soglia, i mercati s’interrogano: quanto sarà  “automatico e illimitato” quell’intervento? Diversi commenti ricordano un precedente efficace: quando la Banca centrale svizzera annunciò una soglia oltre la quale avrebbe impedito la rivalutazione del suo franco, dichiarandosi disposta a stampare moneta senza limiti pur di impedire quell’apprezzamento. Ci sarà  altrettanta determinazione da parte dell’eurozona? Nelle analisi Usa un altro raffronto obbligato è quello tra la Bce e la Federal Reserve: la banca centrale americana ha un mandato istituzionale per sostenere la crescita, di conseguenza in una fase di recessione i suoi interventi sui mercati nell’acquisto di titoli pubblici (per creare liquidità  e spingere al ribasso i tassi a lungo termine) hanno raggiunto dimensioni inimmaginabili nel contesto europeo attuale.
In quanto alla ricapitalizzazione diretta delle banche in crisi, gli americani osservano che il summit di Bruxelles ha dato solo un via
libera di principio. Importante, sì, perché con questo aiuto diretto non si va a gravare ulteriormente sul debito pubblico degli Stati (come la Spagna), ma privo di conseguenze operative a breve termine. L’iniezione diretta di capitali dal fondo salva-Stati nelle banche in crisi accadrà  solo dopo il varo di una vigilanza unica: e questo seguirà  tempi lunghi, i tempi della politica, non quelli dei mercati. Viene ricordato un precedente infausto: la creazione della European Banking Authority (Eba), che in embrione poteva essere un authority di controllo federale, e invece langue in una perenne carenza di fondi e di poteri. La reazione molto positiva che Wall Street ha avuto venerdì viene attribuita all’effetto-sorpresa: la Borsa non si aspettava che la Merkel cedesse. Da lunedì vorrà  vedere i dettagli e le azioni concrete.


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