La “cupola” dello spread tra teoria del complotto e attacco finale all’eurozona

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NEW YORK â€” Il tam tam ci avvisa da settimane: l’attacco (finale?) all’eurozona è fissato per agosto. Le voci s’infittiscono a Wall Street, le ha riprese ieri il New York Times in prima pagina: «L’estate sarà  al cardiopalmo ». La previsione di un’ondata speculativa contro gli anelli deboli dell’eurozona è razionale: agosto è un mese di attività  ridotta sui mercati, i volumi degli scambi sono sottili, dunque è il periodo ideale per chi voglia ottenere il massimo effetto con le sue “puntate”. Ma il tam tam rischia anche di alimentare le teorie del complotto: dietro previsioni così insistenti esiste una regìa, un’azione concertata che prende di mira Grecia, Spagna, Italia?
I patiti della dietrologia hanno qualche elemento a cui appoggiarsi. Oltre ai complotti immaginari, che usiamo per dare un volto e un nome alle forze impersonali dei mercati, qualche volta esistono le congiure autentiche. Nella cronaca recente, alcuni casi specifici evocano manovre concertate contro l’eurozona. La prima data è l’8 febbraio 2010: i più importanti hedge fund (Soros, Paulson, Greenlight, Sac Capital) concordano un attacco simultaneo all’euro in una cena segreta a Wall Street. Goldman Sachs e Barclays partecipano. L’accusa è contenuta in una dettagliata inchiesta del Dipartimento di Giustizia Usa.
Un episodio successivo è datato 12 dicembre 2010. Quel giorno il New York Times rivela le «cene del terzo mercoledì di ogni mese»: riuniscono 9 membri di una élite di banchieri a Midtown Manhattan che rappresentano Goldman Sachs, JP Morgan Chase, Morgan Stanley, Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank, Barclays, Ubs e Credit Suisse. In quella “cupola” si concordano operazioni sui derivati. Fonte dell’accusa è nientemeno che Gary Gensler, capo della Commodity Futures Trading Commission cioè proprio l’authority di vigilanza sui derivati.
Il primo settembre 2011 è il Wall Street Journal a rivelare che lo stratega di Goldman Sachs Alan Brazil, in un rapporto confidenziale di 54 pagine, consiglia ad alcune centinaia di grossi clienti della banca delle operazioni di speculazione ribassista contro l’euro, con l’uso dei credit default swaps per lucrare dai fallimenti delle banche europee, spagnole in testa. In conflitto d’interessi, perché al tempo stesso Goldman Sachs è consulente del governo di Madrid.
Infine è del 10 novembre 2011 il “giallo” mai chiarito della falsa notizia su un imminente downgrading della Francia: l’indiscrezione esce dalla Standard & Poor’s, suscitando violente oscillazioni sui mercati.
Viene seguita da una smentita, ma intanto il danno è fatto: l’indagine della magistratura francese è tuttora in corso.
Fermarsi agli indizi del complotto però non basta.
Anche quando esistono degli attacchi concertati, bisogna rispondere a questa domanda: come scelgono i bersagli da colpire, e perché? Come si spiega che l’anello debole oggi sia l’eurozona, non l’America latina? E perché nell’eurozona il fianco Sud si rivela più fragile dei paesi dell’Europa dell’Est (Slovacchia, Slovenia, Estonia)?
Un precedente utile per capire quel che accade oggi è l’attacco guidato da George Soros nel 1992 contro lira e sterlina. La formidabile offensiva di Soros 20 anni fa contro Londra e Roma fu possibile per l’alto debito pubblico dei due paesi, il disavanzo commerciale per scarsa competitività , l’insostenibilità  della loro appartenenza al regime dei cambi quasi-fissi (il Sistema monetario europeo, antenato della moneta unica). Soros precipitò il crollo della lira e della sterlina, l’uscita di entrambe dallo Sme. Quegli eventi costrinsero l’Italia ad accettare un risanamento dei conti pubblici (governo Amato) che era necessario in sé: eravamo su una china distruttiva, per i comportamenti irresponsabili delle nostre classi dirigenti. Decenni di spesa facile, di finanziarie trasformate in “assalti alla diligenza” del bilancio pubblico, erano la causa vera. Soros ebbe la colpa o il merito di diagnosticare lo squilibrio giunto al punto di rottura.
La situazione post-2008 non è tanto diversa: dalla corruzione dei passati governi greci, all’ostinazione di tanti leader nel rifiutare un governo europeo dell’economia, ogni nazione paga il conto degli errori accumulati in molti anni. La speculazione avvista contraddizioni, incoerenze del disegno europeo. Nessuno denunciava la speculazione quando era di segno opposto: consentiva alle banche europee di rimpinguarsi i bilanci con finanziamenti a tasso zero. Le agenzie di rating non venivano processate dai nostri governi quando regalavano alti voti ai titoli del Tesoro greco, nonostante che i conti pubblici di Atene fossero truccati fin dal 2001. C’è un’attenzione asimmetrica verso gli speculatori.
Altri sembrano avere imparato che le grida contro i complotti non servono a molto. L’ultima grande crisi che ebbe come epicentro l’Asia, quella del 1997 iniziata in Thailandia, fu l’occasione anche là  di proteste contro il complotto della finanza occidentale. Il premier malese Mahathir divenne famoso all’epoca per le sue denunce contro le congiure degli angloamericani. Da allora però l’Asia ne ha tratto una lezione diversa. Oggi molte nazioni orientali hanno le finanze pubbliche più in ordine del mondo, i conti con l’estero in attivo, ricche riserve valutarie per consentire alle banche centrali di difendere le rispettive monete. E dietro ci sono economie reali con i “fondamentali” in ordine: a cominciare dalla competitività .
Inseguire teorie del complotto non aiuta a capire le ragioni profonde di questa crisi. A cominciare da una ultradecennale perdita di competitività  di tutte le nazioni mediterranee nei confronti dell’azionista di maggioranza dell’euro, la Germania.


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