Latte in vena uccide neonato la flebo scambiata per errore indagati medici e infermieri

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ROMA â€” Latte artificiale nelle vene al posto dei farmaci, un ritardo di almeno tre giorni nell’avvertire la procura e tanti aspetti ancora da chiarire. Almeno sette (ma in corsia si parla di una dozzina tra infermieri e medici, compresi i vertici ospedalieri) gli indagati per la morte di un neonato prematuro all’ospedale monstre San Giovanni-Addolorata, uno dei più grandi e congestionati della capitale, al centro di un’ennesima inchiesta di malasanità . La vittima, stavolta, si chiamava Marcus Johannes, un mese di vita, 800 grammi di peso, figlio di una domestica filippina, Jacqueline De Vega che ora, disperata, chiede giustizia. Il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha già  inviato i suoi ispettori a via dell’Amba Aradam mentre il pm Michele Nardi, attualmente in ferie, dopo aver bloccato in extremis la cremazione della minuscola salma sta esaminando i primi riscontri investigativi dei carabinieri del Nas. La tragedia, comunque sia, ha i contorni di un giallo.
Il piccolo Marcus nasce il 29 maggio scorso, con un destino che sembra già  segnato: la madre, abbandonata dal suo compagno, ha pensato più volte di interrompere la gravidanza e pensa di darlo in adozione. Il neonato di sole 29 settimane anziché 40, viene immediatamente trasferito dall’ospedale “Giovanbattista Grassi” di Ostia al reparto di neonatologia del San Giovanni, in terapia intensiva. Una struttura d’eccellenza ma solo di facciata. L’incubatrice, come spiega Ignazio Marino, presidente della commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale, è «vecchia, obsoleta e poco sicura». Sugli apparecchi di nuova concezione, i neonati sono sistemati su una bilancia che ne registra costantemente il peso. Su quelli del San Giovanni il bimbo va scollegato ogni volta dai tubi, pesato e risistemato al suo posto. Il colore del latte artificiale, che gli viene somministrato con un sondino naso-gastrico al ritmo di 9 millilitri all’ora per due ore al giorno è quasi identico a quello della soluzione lipidica: una flebo che fa gocciolare 2 millilitri all’ora. Non basta: i tubi sono collegati alla stessa fasciatura addominale e come se non bastasse anche le cannule non sono distinguibili. Una serie di particolari che, almeno in parte, spiegano l’inconcepibile errore che ha provocato la tragedia. «Le circostanze sono state aggravate dal fatto che l’ospedale non dispone di tubicini di colore differente a seconda dell’uso
— sottolinea Marino — mi risulta che il San Giovanni avesse chiesto nuove incubatrici senza ottenerle».
Il bimbo, nel corso di un mese di degenza, prende un po’ di peso e arriva a 800 grammi. Mercoledì 27 giugno scorso, dopo essere stato pesato, viene ricollegato ai tubi e succede l’inconcepibile: il sondino del latte artificiale, che dovrebbe entrargli nel naso (e da qui al duodeno) viene scambiato con quello della soluzione lipidica. Il piccolo inizia a stare male e muore venerdì 29, giorno dei Santi Pietro e Paolo, con la capitale quasi completamente deserta per il ponte.
Dei direttori sanitari dell’ospedale uno, Salvatore Passafaro, è in ferie, l’altro, Gerardo Corea, è al lavoro e a questo punto i misteri si moltiplicano: sia Corea
che il direttore generale, Gian Luigi Bracciale, vengono informati di quello che è accaduto solo il lunedì successivo, 2 luglio.
«C’è stato qualcosa che non mi è piaciuto — ammette Bracciale — non ho capito bene dove è avvenuto l’intoppo, ci penserà  il magistrato». Sta di fatto che il giorno dopo, martedì 3 luglio, il professor Bracciale firma l’autodenuncia alla procura e sollecita immediatamente una relazione interna.
Lo stesso giorno viene celebrato il funerale del bimbo e, su disposizione dei familiari, la piccola salma viene destinata alla cremazione. Le procedure, fortunatamente, sono lunghe e farraginose: il pm la blocca (se il corpo fosse stato bruciato l’indagine, di fatto, sarebbe stata impossibile)
e dispone l’autopsia che è già  stata effettuata. Il 19 luglio, la relazione interna viene consegnata al direttore generale che la gira in procura ma, nel frattempo, a via dell’Amba Aradam arrivano i carabinieri del Nas che sequestrano tutto: cartelle cliniche, documenti, relazioni e apparecchiature. Le prime sospensioni cautelative dei medici e paramedici arriveranno nei prossimi giorni. Il resto è un’inchiesta fatta di perizie e controperizie, una verità  che sarà  quasi certamente solo parziale e tanti dubbi che, forse, non saranno
mai chiariti.


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