L’ETà€ DEL DESIDERIO Le origini della forza erotica che solo gli esseri umani conoscono

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Stefano Agosti mi ha raccontato che, in una delle sue venute in Italia, Lacan fu ospite nella casa milanese di Elvio Fachinelli. Mentre gli altri invitati stavano trascorrendo un allegro dopo cena, indicò il padrone di casa beatamente addormentato su di una sedia a dondolo e rivolgendosi ai presenti disse: «Volete sapere cos’è il piacere?». «Eccolo lì! Quello il principio di piacere!».
Questa immagine definisce il piacere come un rilassamento delle tensioni. Stare sdraiati comodamente su una sdraio vicina al mare leggendo o prendendo il sole mentre ci sprofondiamo dolcemente in uno stato di vaga assenza. È quello stato che invidiamo al nostro gatto quando d’inverno si spalma sul termosifone con le zampe a penzoloni. Nel colmo del piacere c’è effettivamente una dimensione atarassica. Ma più in generale – se seguiamo le indicazioni di Freud – esso orienta l’apparato psichico a perseguire l’ideale di una
moderazione virtuosa delle tensioni interne. Per questa ragione il principio di piacere, sostengono Franà§ois Ansermet e Pierre Magistretti (Gli enigmi del piacere, Bollati Boringhieri, Torino 2012), risponde alla teoria neurologica dei “marcatori somatici” (Damasio): il nostro corpo segnala in anticipo cosa potrebbe essere potenzialmenre causa di un aumento spiacevole dell’eccitazione per assicurare la difesa dell’omeostasi interna. La legge del principio di piacere detta l’evitamento di tutto ciò che può turbare la nostra quiete interna. L’uomo sulla sedia a dondolo e il gatto sul termosifone trovano la loro celebrazione nell’ideale di una saggezza pratica che risparmia la vita da tensioni inutili. La bussola del piacere ci orienta ad evitare ciò che provoca dolore e a procurarsi ciò che lo estingue. Il suo ideale è quello che si esprime nell’Etica di Aristotele; la virtù mediana del saggio sta nell’evitare gli estremi, nel rifiutare il caos degli eccessi.
In questo senso dobbiamo tracciare una linea netta di separazione tra il piacere e il godimento. Il piacere, diversamente dal godimento non ricerca un apice che esige imperiosamente la sua scarica. È piuttosto un continuum privo di rotture, come il ron ron del gatto sopra il termosifone. Ogni eccitazione minaccia la sua nicchia. Non a caso Freud evocava come immagine- paradigma del principio del piacere quella degli uccellini ancora custoditi dal calore protettivo dell’uovo materno. Il principio di piacere implica omeostasi e vive di conseguenza il mondo come sorgente permanente di perturbazioni. Esso fonda l’illusione che il corpo umano sia un corpo di natura tra
gli altri. La cultura naturista, salutista, edonista, new-age, lo elegge a principio ideale del cosiddetto “benessere”. L’homo
felix è colui che dovrebbe saper condurre una vita sana, equilibrata, senza stress, orientata da una tecnica disciplinare che impone al suo corpo di rifiutare l’eccesso e che coltiva un ideale di armonia; l’armonia senza pensiero del gatto e dell’uomo abbandonato sulla sedia a dondolo.
E il desiderio? L’esperienza del desiderio minaccia l’omeostasi armoniosa del piacere.
L’uomo non potrà  mai raggiungere il piacere naturale che appartiene alla vita animale (o a quella vegetativa). Non è né un gatto, né un giglio. Questo significa che l’equilibrio del piacere è destinato ad essere perturbato. Per Freud questa è la matrice ultima di quello che definisce come il disagio della Civiltà . Lo schiamazzo insistente di un bambino o un monologo a tutti polmoni al telefonino può infastidire il nostro lettore sprofondato nel suo sdraio di fronte al mare. Ma anche l’incontro con una donna o con un uomo può trascinare – come spesso accade – una vita tranquilla verso una deriva imprevista e ingovernabile. L’uomo sulla sedia a dondolo è obbligato a svegliarsi. Ecco apparire sulla scena il desiderio! L’esperienza del desiderio implica innanzitutto un turbamento del piacere, un risveglio più o meno brusco dal suo ron ron. Il desiderio interrompe la tendenza del piacere ad avvolgersi su se stesso introducendo uno squilibrio che è sorgente di e di slancio. È la verità  scabrosa che ci concerne: la vita umana non si accontenta della pace del piacere. È desiderio d’Altra Cosa, afferma Lacan. Possiamo certamente rammaricarci di constatare come l’esperienza del piacere sia solo transitoria. Ma è il desiderio il lievito che umanizza la vita strappandola dalla vita animale. Mentre l’animale si lascia guidare ciecamente dalla bussola dell’istinto, l’uomo è un soggetto del desiderio proprio perché privo di quella bussola infallibile. Nel suo etimo la parola desiderio allude infatti all’assenza di stelle in grado di guidarlo. Mentre l’istinto è pura ripetizione di uno stesso schema, il desiderio è attirato dall’incognita, dal non ancora visto, dal non ancora saputo. Non si soddisfa del calore del sole o di quello del calorifero. È una forza erotica che spinge a rompere il guscio chiuso del piacere. L’omeostasi si squilibra, l’ordine stabilito salta, la routine del piacere e il suo confort si scompaginano. In questo senso l’esperienza del desiderio è sempre un’esperienza di vertigine che ci trascina nel gorgo della via perturata anche se a volte in questo gorgo ci perdiamo. Per questo l’immagine dell’eroe, del mistico o dell’uomo impegnato che si ritirano dalla scena del mondo per un eremo di pace, attraversa frequentemente la testa di molti di noi. È un’immagine alla quale possiamo guardare come un balsamo. Il desiderio non si accontenta del piacere. Per questo Lacan lo associa alla rivolta e alla
preghiera: la realtà  così com’è non esaurisce mai la spinta del desiderio.
Eppure non si deve però pensare che la sua inquietudine comporti necessariamente una corsa infinita priva di soddisfazione. Non è vero, come pensa l’isteria, che ogni soddisfazione del desiderio comporti una delusione. Proprio il contrario: la realizzazione del desiderio ci permette di raggiungere un soddisfazione che non delude perché non è vincolata all’illusione vacua degli oggetti. Lacan lo ripete sino alla nausea: non esiste un Oggetto del desiderio! Il desiderio che dà  soddisfazione è quello che realizziamo quando facciamo esperienza di avere un nostro desiderio. Per questo Lacan proponeva di tradurre il termine tedesco Wunsch– usato da Freud per dire il desiderio – col termine “voto”, “vocazione”: la soddisfazione del desiderio non sarebbe allora altro che quella di seguire con decisione la propria vocazione, di non indietreggiare di fronte all’irruzione imprevedibile della sua chiamata. Anche se questo significa risvegliarsi bruscamente dalla serena irresponsabilità  del piacere.


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