«Morti e malattie da inquinamento» Sigilli alla fabbrica

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TARANTO — La parola tanto temuta è arrivata. «Sequestro» ha scritto il giudice Patrizia Todisco. Per i sei reparti che compongono l’area a caldo dell’Ilva si «avvieranno immediatamente le procedure tecniche e di sicurezza» per realizzare «il blocco delle specifiche lavorazioni» e «lo spegnimento degli impianti». Lo stabilimento siderurgico dovrà  chiudere le cokerie, gli altiforni, i parchi minerari, l’acciaieria 1, il deposito di rottami ferrosi e gli agglomerati. Sono quelli, secondo due perizie in mano ai magistrati, i reparti che producono morte e malattia e che inquinano la città . Ma il giudice Todisco non ha scritto soltanto le 295 pagine con le quali motiva il sequestro. Ne ha firmate altre 303 per concedere gli arresti domiciliari a otto persone, tutti dirigenti dell’azienda a partire dall’ex numero uno e proprietario dell’Ilva, Emilio Riva, e da suo figlio Nicola. Nessuno dei due ha più incarichi (il nuovo presidente dello stabilimento è l’ex prefetto di Milano Bruno Ferrante) ma il dettaglio non è servito a scongiurare il provvedimento. «Chi gestiva e gestisce l’Ilva — si è convinto il magistrato — ha continuato in tale attività  inquinante con coscienza e volontà  per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza». Di più. «L’imponente dispersione di sostanze nocive nell’ambiente urbanizzato ha cagionato e continua a cagionare non solo un grave pericolo per la salute pubblica», ma soprattutto «un gravissimo danno che si è concretizzato in eventi di malattia e di morte». 
Le perizie prendono in considerazione un periodo di sette anni, parlano di 174 morti e dicono che nei quartieri Tamburi e Borgo si è registrato il quadruplo della mortalità  e il triplo di ricoveri per malattie cardiache rispetto al resto della città . Una situazione che, scrive il giudice, «impone l’immediata adozione del sequestro preventivo a doverosa tutela di beni di rango costituzionale come la salute e la vita umana, che non ammettono contemperamenti e compromessi di sorta». Durissima, Patrizia Todisco, quando scrive che «non si può più consentire al siderurgico tarantino del gruppo Riva di sottrarsi al dovere di anteporre alla logica del profitto, sino ad oggi così spregiudicatamente e cinicamente seguita, il rispetto della salute e della salubrità  dell’ambiente».
Se per caso non fosse chiaro: «Non può più essere consentita una politica imprenditoriale che punta alla massimizzazione del risparmio sulle spese per le performance ambientali, i cui esiti per la comunità  tarantina e i lavoratori del siderurgico (…) sono davvero sotto gli occhi di tutti». 
Saranno quattro custodi e amministratori nominati dal tribunale a seguire i passaggi delle procedure di spegnimento e a ricordare all’Ilva che «tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo, individuate dai periti chimici, potrebbero legittimare l’autorizzazione a una ripresa della operatività  dei predetti impianti». Parole che autorizzano a sperare in una possibile via di fuga. Come dire: se l’azienda eliminerà  i motivi che hanno portato a questo provvedimento la Procura potrà  rivedere la decisione e scongiurare la chiusura che, in ogni caso, avrà  bisogno di tempi molto lunghi e accorgimenti tecnici particolarmente complicati. 
In serata l’ex prefetto Ferrante esprime «grande amarezza per le persone che si sono viste notificare gli ordini di custodia» e fa sapere ai lavoratori che la famiglia Riva si prodigherà  con il «massimo impegno per tutelare in tutte le sedi opportune l’occupazione e il futuro dell’Ilva».
Al di là  delle accuse contestate, dalle carte dei magistrati emergono episodi inquietanti. Uno dei passaggi per spiegare il possibile inquinamento probatorio, per esempio, riguarda un presunto scambio di denaro fra un dirigente Ilva e un docente ex consulente della Procura. L’ipotesi dei magistrati è che durante un incontro in un’area di servizio autostradale il dirigente abbia consegnato al professore una busta con 10 mila euro ma il docente nega il passaggio di soldi, pur ammettendo l’incontro. Una storia giudiziaria dal finale ancora tutto da scrivere. Come quella dell’Ilva.


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