Nigeria, massacro nei villaggi cristiani
In Nigeria si ammazza la domenica. Lo fanno nelle chiese, di preferenza durante la funzione religiosa. Accade dall’inizio dell’anno, ed è accaduto anche ieri, nello Stato di Plateau, cerniera tra il sud cristiano e il nord musulmano. E anche stavolta si contano decine di vittime: secondo la polizia nigeriana, una cinquantina di cadaveri bruciati sono stati trovati nella parrocchia del paesino di Matsai nei pressi di Jos, capitale dello Stato. Mentre in un’altra località , nel poverissimo distretto di Gashis, sono stati uccisi un senatore e il leader della locale maggioranza parlamentare, entrambi appartenenti all’etnia Birom, di fede cristiana, che partecipavano ai funerali di una precedente mattanza.
Un gruppo armato ha aperto il fuoco e assassinato, assieme ai due politici, altre 18 persone.
Le autorità puntano il dito contro i pastori della tribù islamica Fulani, ma questi negano tutto, e accusano i militari di aver lanciato attacchi contro i membri della loro stessa tribù. In questa guerra a sfondo religioso, dove è spesso impossibile vagliare l’attendibilità di notizie, la sola certezza che si legge in filigrana è l’estrema povertà che affligge la popolazione. A sentire la stampa locale, centinaia di uomini armati avrebbero attaccato una decina di villaggi cristiani, tra i quali Kakuruk, Kuzen, Ngyo, Kogoduk, Ruk, Dogo, Kufang, Kpapkpiduk, Kai. Fonti ospedaliere parlano di novanta morti. Dopo gli assalti, i soldati avrebbero attaccato i Fulani: almeno 10 membri della comunità sarebbero stati uccisi, o 25 secondo altre fonti.
Da decenni, quest’area della Nigeria è teatro di tensioni e sanguinosi scontri di natura interetnica e interreligiosa, che hanno provocato un migliaio di morti negli ultimi tre anni. Un bollettino da guerra guerreggiata.
Molti di questi martiri sono rimasti vittime della ferocia dei qaedisti della setta di Boko Haram, coloro che lo scrittore premio Nobel Wole Soyinka ha soprannominato i «macellai della Nigeria». Tuttavia, secondo diversi analisti il vero scopo di questa guerra è quello di smembrare la federazione degli Stati nigeriani, denunciando con il sangue il clamoroso fallimento economico delle élite del Paese, incapaci di garantire una più equa ridistribuzione delle ricchezze.
Per sopprimere la jihad, il presidente nigeriano Goodluck Johnatan, cristiano e membro di una piccola tribù del Sud, ha inviato gli stessi poliziotti che si macchiarono di barbari crimini contro altri terroristi, quelli del Mend, che con il loro piccolo esercito di rivoltosi sono da anni una spina nel fianco delle compagnie petrolifere internazionali nel Delta del Niger.
A spiegare la rabbia omicida dei Boko Haram o dei pastori Fulani potrebbe bastare la profonda spaccatura politica e sociale tra il Sud ricco grazie ai proventi del petrolio e il Nord povero e sempre più emarginato, in un Paese dove nonostante un’annosa crescita economica superiore al 7 per cento oltre la metà dei suoi 160 milioni di abitanti vive in povertà assoluta.
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