Nuovo rinvio sul salvataggio delle banche spagnole
BRUXELLES — A tarda sera, nell’Eurogruppo ancora in alto mare, c’è forse all’orizzonte un accordo sullo scudo anti-spread. E sarebbe già moltissimo, almeno per l’Italia. Perché poco prima ha parlato chiaro Olli Rehn, che è il commissario europeo agli Affari economici: «Sono ancora tutti da definire», aveva detto, i vincoli di quello scudo. Cioè del meccanismo che Italia, Francia e Spagna hanno definito come «urgente», «necessario», non più prorogabile. «La questione del giorno», secondo il ministro dell’Economia francese Pierre Moscovici. La misura anti-crisi più importante fra quelle in discussione qui a Bruxelles. Ma anche la più delicata. Al vertice dei capi di Stato e di governo della Ue, il 29 giugno, sembrava già una cosa fatta, o quasi: un impiego più «flessibile ed efficace» dei fondi salva Stato Efsf o Esm (800 miliardi), per permettere loro di comprare sul mercato primario o secondario i titoli di Stato più fragili e a rischio, quelli dei Paesi aggrediti dalla speculazione. E così facendo, di limitare la scalata del loro spread, il differenziale di rendimento rispetto agli omologhi titoli di Stato tedeschi.
Sembrava già una cosa fatta, o quasi: ma ieri, dopo ore di negoziato, si è capito che forse troppi sono gli interessi in gioco. A notte, un dispaccio dell’agenzia Ansa cita «fonti italiane» secondo cui il confronto sugli spread «è andato bene»: si annunciano «dettagli in più» rispetto alle decisioni prese nel vertice europeo di giugno, ma probabilmente non si è ancora al traguardo finale. Molte cose sembrano rinviate all’Eurogruppo straordinario del 20 luglio, con un traguardo forse più probabile ormai slittato (fonti francesi) a dicembre. Ma «dicembre» significherebbe lasciar aperto il pozzo dell’emergenza immediata, della guerriglia sui mercati, e infatti c’è già chi mormora di un possibile altro appuntamento straordinario entro l’estate.
A meno di colpi di scena sempre possibili, la diffidenza della Germania e dei suoi alleati nordici come Finlandia e Olanda potrebbe aver avuto la prevalenza: prima di muoversi, continuano a ripetere, ci vuole una cintura di sicurezza, cioè un sistema di sorveglianza bancaria rafforzata e centralizzata, possibilmente nelle mani della Banca centrale europea. Proprio questo era il punto numero due al centro dell’incontro dei ministri finanziari della zona euro. E anche questo tema, a tarda sera, era ancora sospeso per aria, nonostante un forte appello lanciato dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. «It will be a long night», sarà una lunga notte, assicurava a quell’ora uno dei consiglieri. Anche in questo caso, ha dunque vinto la diffidenza, ha prevalso chi diffida: la Germania continua infatti a chiedere una «vera» unione economica e politica, basata su un’unione bancaria come primo presupposto.
Senza l’unione bancaria, non c’è la sorveglianza centralizzata. E senza la sorveglianza, non c’è l’unione: il gatto chiamato Euro si morde la coda. Delle richieste tedesche e «nordiche», poi, esistono versioni differenti, e il negoziato notturno non ha fatto molto per chiarirle. E su questo scoglio, si è incagliato anche il terzo tema forte dell’Eurogruppo, cioè il salvataggio-ricapitalizzione delle banche spagnole, un affare sui 100 miliardi. Si è incagliato, sempre per le stesse ragioni: l’Europa, che chiede fiducia al resto del mondo, non riesce proprio a fidarsi di se stessa.
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