PICCOLE LEZIONI DI FILOSOFIA FISCALE

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Due cose sono inevitabili, la morte e le tasse, diceva Benjamin Franklin. Due filosofi, Armando Massarenti e Peter Sloterdijk si stanno impegnando, in modi complementari e con un concreto impegno civile, a rendere facoltative almeno le seconde. In
La mano che prende, la mano che dà  (Raffaello Cortina) Sloterdijk sostiene che la tassa come imposizione statale, mai giustificata sino in fondo, e soprattutto che finisce strutturalmente per gravare e sulla parte produttiva della società , può essere sostituita (con un processo anche molto lungo) da una tassa come libera donazione dei più ricchi, che riceverebbero dei vantaggi simbolici e che non subirebbero significativi cambiamenti del tenore di vita.
Persino in Germania, dove i giornali sono venduti in teche in cui le persone depongono la somma esatta senza che nessuno controlli, la proposta è apparsa irrealistica non solo agli occhi del senso comune, ma anche di filosofi, per esempio Axel Honneth, ultimo esponente della teoria critica di Francoforte. Il che però ha consentito una ritorsione a Sloterdijk: se (con la scuola di Francoforte) siamo disposti ad ammettere che non c’è solo un agire strumentale, ma c’è anche un agire comunicativo, perché dobbiamo poi ridurci a pensare a un essere umano egoista ed economicista, che paga solo se costretto? Eppure pro-
prio questo è il tipo d’uomo presupposto da chi dice che se le tasse diventassero una elargizione volontaria, una regalia, ben pochi le pagherebbero. A questo punto, Sloterdijk si impegna in una antropologia del dono e in una apologia del desiderio e dell’orgoglio come moventi sociali sottovalutati in una visione economicistica. Non è vero che l’uomo agisce solo per interesse, ed è ancor meno vero che gli interessi umani si riducono all’economia. Ma a ben vedere nel discorso di Sloterdijk, per quanto ricco e spiazzante, c’è una impasse di fondo. Non si ha alcuna difficoltà  a pensare un miliardario che si rovina per prestigio, ad esempio finanziando una squadra di calcio, ma si ha una qualche difficoltà  a pensare che dia dei soldi per una finalità  razionale: se il dono è per definizione l’espressione di una economia dello sperpero, non lo si può finalizzare a scopi di economia ristretta.
Dall’impasse di Sloterdijk ci tira fuori Massarenti con Perché pagare le tangenti è razionale ma non vi conviene(Guanda). Basandosi sulla teoria dei giochi, Massarenti illustra il meccanismo per cui tutti concordemente scelgono la via razionalmente meno economica (pagare per avere un appalto). In effetti, si tratta di una variante del “dilemma del prigioniero” per cui a due persone accusate di un reato viene offerta separatamente la scelta tra denunciare l’altro e avere la libertà  o non denunciarlo e venire liberato dopo un anno di carcerazione preventiva. La scelta razionale sarebbe non denunciarlo, ma Tizio, supponendo che Caio lo denunci, opta per denunciarlo a sua volta, sicché i due si trovano in galera per ben più di un anno.
Insomma, non tanto “il massimo bene per il maggior numero di persone” quanto piuttosto “mal comune mezzo gaudio”. Nel caso delle tangenti, poi, i giocatori non sono due, ma un numero indefinito, dunque si tratta di prevedere il comportamento di una massa indistinta di persone. E soprattutto le trattative sono occulte, per cui non si può introdurre il correttivo, che invece la teoria dei giochi contempla nel caso di trattative palesi, per cui il free rider, quello che non sta al gioco, viene emarginato, sicché appare alla lunga più conveniente rispettare i patti. Qual è il risultato di questa situazione? Un fenomeno sorprendente, e cioè che i concussi pagano le tangenti senza che nessuno gliele chieda, secondo un tariffario preciso, con una oblatività  volontaria e libera. Bene, facciamoci caso: la realtà  delle tangenti in Italia, così come viene analizzata da Massarenti, non è forse la realizzazione, sia pure perversa e illegale, della proposta tedesca o lunare di Sloterdijk? Dei ricchi pagano le tasse senza che nessuno gliele chieda. Nel farlo, ci rimettono economicamente (perché in teoria guadagnerebbero di più non pagando le tangenti), non alimentano un apparato statale pesante e costoso ma solo alcuni motivati furfanti, e – con un tocco sublime – agiscono con una mirabile modestia, senza farlo sapere in giro, diversamente dai ricchi vanitosi di Sloterdijk. Il cammino che da Gomorraporta a L’etica protestante e lo spirito del capitalismo è
certo lungo e tortuoso, ma non è detto che col tempo non si possa percorrere.


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