Rai sommersa dalle cause di lavoro Un dipendente su dieci va dal giudice

Loading

Sarà  la crisi, oppure le conseguenze di un provvedimento approvato due anni fa che ha peggiorato le condizioni degli indennizzi, ma i dati dicono che l’andazzo è andato addirittura peggiorando: l’anno prima ci si era fermati a quota 1.264. E comunque con questa storia i nuovi vertici dovranno fare i conti. Il benvenuto per la presidente Anna Maria Tarantola e il direttore generale Luigi Gubitosi è una relazione di 157 pagine appena sfornata dalla Corte dei conti nella persona di Luciano Calamaro, magistrato incaricato del controllo sulla tivù di Stato. Appena se n’è avuta notizia l’azienda si è premurata di precisare che quel rapporto riguarda il 2010, cioè un periodo gestionale, chiuso da oltre un anno, attribuibile all’ex direttore generale Mauro Masi. Le cose, hanno fatto sapere, sarebbero assai migliorate. In effetti il risultato economico del gruppo Rai è passato da una perdita di 98 milioni nel 2010 a uno stiracchiatissimo utile di 4,1 milioni nel 2011. Ma i fondamentali restano gli stessi. A cominciare da un costo del lavoro che ha superato di slancio il miliardo di euro: 1.027 milioni, contro 1.014 un anno prima. Il fatto è che pure il piano degli esodi incentivati (ne erano previsti almeno 400), che costano mediamente 108 mila euro a persona, si scontra con la realtà  degli accordi sindacali per la stabilizzazione dei precari e delle cause di lavoro che spesso costringono l’azienda ad assumere. Il risultato è che nel 2011 il numero dei dipendenti di tutto il gruppo si è ridotto appena di un centinaio di unità . Mentre l’anno prima, dice la Corte dei conti, gli stipendi pagati dalla sola Rai spa erano saliti a 11.857, contro 11.698 nel 2008: ben 10.110 erano quelli per il personale a tempo indeterminato, 270 in più nei confronti di due anni prima. Ancora. Soltanto i giornalisti in pianta stabile erano 1.675, ma considerando anche i 344 precari si arrivava allo spettacolare numero di 2.019, ridotto un anno dopo a 1.972. Per un costo medio, relativo esclusivamente ai garantiti, pari a 151 mila euro l’anno. 
Nel solo 2010 le assunzioni a tempo indeterminato in tutta l’azienda sono risultate 430, una novantina in più rispetto a due anni prima, di cui 296 precari stabilizzati. Dal 2008 al 2010 hanno avuto il posto fisso in Rai 1.121 persone: l’11 per cento di tutti gli attuali dipendenti a tempo indeterminato. I tagli vengono dunque subito compensati dalle assunzioni.
Ed è chiaro che avere un numero di dipendenti pressoché doppio, in termini omogenei, rispetto al gruppo privato Mediaset, che ha un fatturato decisamente superiore (4 miliardi 250 milioni, contro 3 miliardi 41 milioni della Rai) non può essere considerato un dettaglio. Del resto, non bisogna essere degli esperti di scienze economiche per rendersi conto che a viale Mazzini non nuotano nell’oro. La posizione finanziaria netta alla fine del 2011 era negativa per 272 milioni, con un peggioramento dell’indebitamento di 118 milioni sull’anno precedente. Il che non ha impedito di concludere l’acquisto degli stabilimenti Dear a Roma: 52 milioni e mezzo di euro. 
Dice la Corte dei conti che c’è un «persistente sbilancio negativo fra ricavi e costi, le cui ripercussioni negative sulla situazione economico-patrimoniale e finanziaria della società  stanno assumendo carattere strutturale e dimensioni preoccupanti». Secondo i magistrati contabili «tutte le voci di entrata evidenziano problematiche». E lo «sbilancio» non risparmia nemmeno le trasmissioni che dovrebbero fare, immaginiamo, soldi a palate. Il Festival di Sanremo, per citare un caso. In solo due anni, nonostante introiti pubblicitari per 24 milioni 850 mila euro, la Rai ci ha rimesso la bellezza di 17 milioni 424 mila euro: 9 milioni 580 mila nel 2009 e 7 milioni 844 mila nel 2010. Le perdite causate da uno degli eventi televisivi più importanti della stagione sono stati praticamente pari alleroyalty intascate dal Comune di Sanremo, che ha una convenzione in base alla quale la tivù di stato corrisponde al municipio ogni anno per l’esclusiva del festival qualcosa come 9 milioni di euro.
Certo, il bilancio soffrirebbe meno se le entrate del canone non fossero «notevolmente compromesse», per usare le parole della Corte dei conti, «dalle crescenti dimensioni dell’evasione». Un fenomeno che avrebbe raggiunto 450 milioni l’anno. Va da sé che il suo «efficace contrasto», affermano i magistrati contabili, «contribuirebbe a riequilibrare la posizione economico finanziaria della società ». Sempre presupponendo, naturalmente, che non si intervenga come forse sarebbe necessario sull’attuale struttura dei costi. Peccato però che «al momento», sottolinea la relazione, «non siano state introdotte misure volte ad arginare il fenomeno». La faccenda in effetti è molto complessa anche per la mancanza di norme specifiche. Ma tant’è. Stime aziendali parlano di un tasso medio del 26,7 per cento, e crescente: era al 26,1 nel 2008 e al 26,5 nel 2009. Nelle Regioni meridionali tocca punte mostruose. In Campania siamo al 44,5%, in Sicilia al 42,2, in Calabria al 39,7. Impietoso è il confronto con le altre televisioni pubbliche europee: in Germania e Regno Unito l’evasione si aggira intorno al 5%; in Francia non supera l’uno per cento. Per non parlare poi del canone «speciale», quello dovuto dagli esercizi commerciali: i mancati introiti qui sarebbero dell’ordine del 60 per cento.
Con le attività  di recupero si portano a casa circa 400 mila abbonamenti l’anno. Nel 2010 sono stati, per l’esattezza, 415.001. Ma il numero dei nuovi abbonati così racimolati è appena superiore a quello delle disdette che arrivano ogni dodici mesi: 310.368 nel 2010, 323.545 l’anno precedente e 294.382 nel 2008. Dalla contabilità  separata si ricava che con i soli incassi del canone la Rai non riuscirebbe a coprire i costi delle attività  del cosiddetto «servizio pubblico». Il disavanzo, secondo i dati ufficiali, sarebbe stato di 364 milioni nel solo 2010. Un piccolissimo contributo per alleggerirlo verrà  quest’anno dalla decisione di Anna Maria Tarantola, che si è autoridotta lo stipendio rispetto ai 448 mila euro del suo predecessore Paolo Garimberti. Mentre Gubitosi, dopo le polemiche sul suo trattamento, ha deciso di rinunciare al contratto a tempo indeterminato, accontentandosi dei 650 mila euro l’anno di paga per la durata del mandato. È circa il 9 per cento in meno rispetto alla retribuzione di Masi (715 mila euro). Ma ci sono sempre da fare i conti con la legge che impone un taglio anche alle retribuzioni dei manager delle società  di Stato. Sempre che prima o poi il decreto attuativo, già  in ritardo di due mesi rispetto alla scadenza prevista del 31 maggio, salti fuori.


Related Articles

Diffamazione, ecco il bavaglio per i giornali anche on line multe fino a 50 mila euro

Loading

Obbligo di rettifica anche per i siti. Oggi il sì al Senato Nuovo stop per la Consulta, salta la votazione di domani

Reporter senza frontiere: «Grillo è un problema per l’informazione»

Loading

Rapporto 2017. Libertà di stampa mai così a rischio nel mondo. L’Italia guadagna 25 posizioni, dal 77esimo al 52esimo posto

L’illusionismo mediatico nei talk-show televisivi

Loading

Dalla cosiddetta riforma della giustizia a quelle non meno controverse della scuola e dell’università , è soprattutto nei talk-show televisivi che va in scena l’illusionismo mediatico della propaganda filogovernativa.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment