“Rotto il circolo vizioso banche-bond è il primo passo per un debito europeo”

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ROMA â€” «Italia e Spagna hanno sostanzialmente tenuto il growth compact in ostaggio, dicendosi d’accordo in principio ma rifiutandosi di firmarlo finché non venissero annunciate misure a più breve termine. Per farlo, i due Paesi sono riusciti a pilotare un piccolo cuneo che si era creato fra Hollande e la Merkel, cogliendo l’appoggio che il presidente francese aveva accennato a misure che alleviassero immediatamente la pressione su Roma e Madrid». Anche Nouriel Roubini, l’economista della New York University che segue con assidua passione le vicende europee, sembra ammirato dall’insperata grinta sfoderata a Bruxelles dall’inedito duo Monti-Rajoy. Nel ricostruire l’accordo usa toni da resoconto di battaglia come se stesse descrivendo il gioco di schieramenti fra Wellington e Napoleone. Attento come sempre a frenare gli entusiasmi, non arriva a dire che ci si sia avvicinati agli eurobond però concede che per la prima volta, con l’attribuzione della supervisione bancaria alla Bce, il passaggio dall’Efsf all’Esm e l’acquisto dei titoli sovrani con fondi dell’eurozona, «si avrà  una forma di liability pooling», le passività  cominceranno ad essere messe in comune. Il primo passo. Al di là  di questa pietra miliare, «le fondamentali misure che danno all’eurozona una visione di lungo termine restano sospese
up in the air», fra le nuvole.
Però ci sembra di capire che anche lei ritiene che a Bruxelles si sia scritto un pezzetto di storia, che non è stato un vertice come tanti altri pur non risolutivo. Chi ha vinto?
«Le misure concordate sono andate al di là  delle aspettative dei mercati, che peraltro la Merkel aveva accuratamente provveduto ad abbattere nelle due settimane precedenti. Perciò prevedo un breve rally del mercato che però non durerà  a lungo. Il problema è che se le misure intraprese sul breve termine permettono di guadagnare un po’ di tempo, quelle sul lungo termine sono molto più importanti e ancora mancano. E anche per le misure prese, come sempre accade in questa crisi, il diavolo è nei dettagli, che nella maggior parte dei casi devono essere ancora delineati».
Vede segnali positivi nell’attribuzione della supervisione nella Bce?
«Che la Bce fosse destinata a questo ruolo era già  stato deciso dai partner prima del summit. Non è stata una gran sorpresa ma è il primo dei tanti gradini verso l’unione bancaria: servono uno schema per l’equiparazione dei depositi e un regime per le insolvenze bancarie valido per tutta Europa, due misure che sarà  più complesso politicamente raggiungere. Non sottovaluto ciò che è stato conseguito: la decisione che l’Efsf e poi l’Esm possano ricapitalizzare direttamente le banche è un grande passo verso la rottura del circuito vizioso che lega debiti bancari e statali. È qui il liability pooling: inizialmente il salvataggio spagnolo verrà  dall’Efsf e transiterà  dal governo ma quando sarà  realizzata la supervisione Bce, presumibilmente il 1° gennaio 2013, il rischio di credito passerà  all’Efsf/Esm e quindi saranno tutti i Paesi a contribuire ad un salvataggio europeo. Peraltro, per la Spagna le preoccupazioni di sostenibilità  persisteranno anche quando i salvataggi bancari verranno iniettati direttamente nelle banche: il debito pubblico è già  dell’80% anzi più alto se includiamo le passività  fuori bilancio».
Come vede il piano salvadei spread voluto da Monti?
«Mancano molti dettagli. Tra l’altro il fatto che la Bce guiderà  gli interventi rischia di oscurare ancora di più le divisioni fra politica monetaria e fiscale nell’eurozona. E poi gli acquisti di bond sul secondario sono un uso assolutamente inefficiente e improduttivo
fondi europei di soccorso, che beneficia i creditori anziché i debitori. Gli acquisti sul primario sarebbero leggermente più efficaci ma i fondi di salvataggio perderanno potenza finché Spagna e Italia non avranno portato fino in fondo le riforme strutturali e non le avranno rese funzionali alla crescita».
Fino a che punto la Troika dovrà  vigilare?
«Il fatto che sia stata risparmiata una vigilanza formale fa poca differenza perché Spagna e Italia sono già  oggetto di target fiscali previsti dalla excessive deficit procedure, e poi sono sotto pressione dai mercati perché annuncino e realizzino le riforme strutturali».
E l’iniziativa dei 130 miliardi per la crescita voluta fortemente da Hollande?
«Aiuterà  marginalmente mitigando solo di poco la recessione. Non basterà  a invertire il ciclo economico né a stimolare strutturalmente la crescita. Insomma, non sarà  un game changer. La verità  è che anche se sono state prese diverse misure che daranno un po’ di respiro, nessuna di esse è sufficiente a mettere la parola fine a questa crisi. Alla fine, per poter davvero uscirne, i leader dell’eurozona avranno bisogno di offrire una chiara e credibile roadmap per una vera unione bancaria e fiscale. Di questi problemi si è parlato solo marginalmente a Bruxelles ma bisognerà  farne il centro dei futuri summit».


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