Stop all’obbligo di privatizzazioni a rischio anche il piano Monti

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ROMA â€” Indietro tutta. Sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali si torna alla legge precedente il cosiddetto “decreto Ronchi”. E ora è a rischio anche una norma del decreto sulla spending review all’esame della Commissione Bilancio del Senato.
Lo stop della Consulta che ha bocciato la legge del governo Berlusconi che aveva cercato di aggirare l’esito del referendum popolare escludendo i servizi idrici dalle liberalizzazioni, non riguarda solo l’acqua ma tutti i servizi, dai rifiuti ai trasporti. In sostanza, d’ora in poi i Comuni potranno decidere se cedere ai privati, parzialmente o totalmente, alcune attività  ma non avranno alcun obbligo a farlo. E questo potrebbe rappresentare un ostacolo per la privatizzazione delle società  municipalizzate rilanciata solo pochi giorni fa dal ministro dell’Economia, Vittorio Grilli. Anche se c’è chi — come il sindaco di Roma, Gianni Alemanno — ha annunciato di voler proseguire nel piano di cessione del 21 per cento dell’Acea (acqua e illuminazione), progetto duramente contrastato dal Pd e dai movimenti per l’acqua pubblica.
La sentenza, secondo un’interpretazione prevalente, dovrebbe anche annullare la norma del decreto “Cresci Italia” che poneva alcuni vincoli per il ricorso alle società  in house. E dubbi ci sono pure sugli effetti della sentenza sul decreto per il riordino della spesa pubblica che prevede una decisa sforbiciata alle società  controllate oltre il 90 per cento dagli enti pubblici e che lavorano esclusivamente con la pubblica amministrazione. Tanto che nel pacchetto di emendamenti alla spending review, che i relatori presenteranno d’intesa con il governo entro lunedì, dovrebbe essercene uno proprio relativo alle società  in house. La tesi è che la sentenza della Corte possa costituire una sorta di “preavviso” di incostituzionalità  a questa parte
della spending review. E che pertanto sia bene correre ai ripari in tempo. «Il problema c’è», ha detto ieri Gilberto Pichetto Fratin (Pd), uno dei relatori al decreto. «Già  sulle società  in house — ha aggiunto — dovevamo rimetterci le mani (nella parte almeno che riguarda le società  temporanee che gestiscono fondi europei). Ora aggiungeremo anche questo problema. Vediamo però prima cosa dice il governo». Che, per quanto si è capito, è però piuttosto scettico sul fatto che la norma sia indirettamente colpita dal giudizio della Corte costituzionale.
Di certo è una partita che ripropone gli schieramenti del referendum sull’acqua. Ieri il governatore della Puglia, Nichi Vendola, e il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, entrambi tra i promotori del referendum che vide una schiacciante vittoria dei sì, hanno ribadito che intendono «mantenere alta la vigilanza rispetto alla piena attuazione della volontà  referendaria» e che «contrasteranno gli eventuali tentativi di privatizzazione forzata». Dall’altra parte il presidente dei deputati dell’Udc, Gian Luca Galletti, ha sostenuto che la sentenza della Corte determinerà  «un danno gravissimo in termini di crescita». «La concorrenza in questi settori strategici è azzerata e si ritorna all’affidamento diretto a società  totalmente partecipate dai Comuni. Si moltiplicheranno ancora proprio quelle società  inefficienti che sono l’emblema della lottizzazione politica», ha concluso.


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