TRA HEGEL E HEIDEGGER L’ALTRA “CURA” FILOSOFICA

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Che la filosofia sia una cura dell’anima non è una scoperta recente, della consulenza filosofica, ma è una convinzione antica che è vacillata solo quando un medico viennese ha escogitato una terapia alternativa. Cent’anni dopo assistiamo a una polarizzazione. Da una parte, la psicoanalisi è spodestata dalle scienze cognitive, che non pretendono certo di insegnarci come vivere ma ci dicono come funzioniamo. Dall’altra, la filosofia cerca di rientrare nel suo, recuperando i territori ceduti alla psicoanalisi. Ma rientrando nel suo che cosa trova? Il merito di La filosofia come cura di Moreno Montanari (Mursia) sta nel proporre un originale inventario delle maniere in cui, nel tempo, la filosofia si è proposta come rimedio al mal di vivere.
Gli eroi principali di questo inventario non sono tanto i moderni teorici della “consulenza filosofica”, o i maestri antichi della cura di sé su cui si è concentrato Foucault, e che stanno sullo sfondo, ma tre figure piuttosto sorprendenti in questo contesto: Heidegger, Nietzsche e Hegel. Il primo perché dedica la sua opera maggiore, Essere e tempo, a una analisi della condizione umana tutt’altro che tranquillizzante, caratterizzata dalla preoccupazione, dalla Sorge, che nella traduzione italiana è tradizionalmente resa con “cura” offrendo a Montanari una nuova valenza, non terapeutica, della “cura” filosofica. Il secondo perché è l’uomo più infelice del mondo che si impegna in un progetto di rinnovamento radicale, e cerca di superare le malinconie dell’uomo nella prospettiva di un superuomo. Il terzo, diremmo con semplicità , è “il più normale”, e scrive, con la Fenomenologia dello spirito,
un grande romanzo in cui si racconta la vicenda, valida ancor oggi (e che personalmente ritengo più attuale e condivisibile dei “grandi racconti” di Heidegger e Nietzsche) di un essere umano che cresce e si sviluppa guidato dalla ragione.
Dall’inventario si deve passare al bilancio, che in apparenza è fallimentare. Rispetto alla psicoanalisi e alle religioni la filosofia offre molto poco. In particolare, non offre la figura della guida spirituale, dell’autorità  a cui ci si sottomette e che ci guarisce. Nel migliore dei casi prospetta una via diversa, quella di una coscienza, più o meno felice, che si impegna nella propria liberazione, con risultati non sempre esistenzialmente soddisfacenti. Per restare al gioco di parole di Montanari, la filosofia come cura nel senso di terapia si rivela essenzialmente come cura nel senso di preoccupazione.
E quindi? Quindi, si potrebbe concludere, credo legittimamente, non è anzitutto come guida per la vita che si deve prendere la filosofia, che ha dalla sua delle attrattive diverse: l’esercizio dello spirito critico, la ricerca della verità , la comprensione del proprio tempo. Ma c’è un senso in cui anche sul piano della cura di sé la filosofia ha un vantaggio peculiare rispetto alle sue competitrici più promettenti, e cioè appunto la sua mancanza di promesse. In fondo, è quello che diceva Derrida (Apprendre à  vivre enfin convesazione con Jean Birnbaum, Galilée 2005), mentre era sottoposto a una cura non filosofica e purtroppo non efficace, una chemioterapia che non lo avrebbe salvato: filosofare è imparare a morire, questa è l’ingiunzione filosofica per eccellenza. Ma, precisava, lui quella ingiunzione non è mai riuscito a seguirla, e non ha mai imparato a vivere, meno che mai adesso, che sta per morire e non ne ha nessuna voglia.


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