Bernanke accelera sulla crescita, Draghi frenato crescono le “divergenze parallele” tra governatori
Bernanke e Draghi: colleghi e amici, ambedue economisti accademici per formazione, ma calati in due realtà istituzionali profondamente diverse.
Tutti e due subiscono i vincoli della politica. Bernanke è tutt’altro che un tecnico puro. Repubblicano, fu nominato da George Bush. Poi riconfermato da Barack Obama, col quale ha stabilito un’intesa notevole. Nel rispetto del suo mandato istituzionale (che le impone di perseguire crescita e occupazione, non solo la stabilità dei prezzi) la Fed è stata generosa, decisionista, interventista: dal 2009 ha operato più di ogni banca centrale con massicce operazioni di
acquisto di bond sui mercati, per tenere il più basso possibile il costo del denaro e stimolare la crescita. I repubblicani considerano Bernanke un traditore, un collaborazionista. Mitt Romney, candidato alla Casa Bianca, ha annunciato che se vince le elezioni lui non lo riconfermerà alla scadenza (il mandato di Bernanke finisce nel 2014). Ma lui non si lascia intimidire. Poche ore dopo il “preavviso di licenziamento” da parte di Romney, il presidente della Fed ha fatto filtrare dal sito del
Wall Street Journal
il contenuto di una lettera di risposta ai repubblicani del Congresso che lo accusano di lassismo. La replica di Bernanke è secca. Difende puntigliosamente il suo operato e rincara la dose: faremo ancora di più, preannuncia, se sarà necessario per rafforzare la ripresa americana. Wall Street non ha dubbi, interpreta quella lettera come il segnale che all’interno della stessa Fed stanno prevalendo le “colombe” come Bernanke. Uno dei suoi alleati, il presidente della Fed di Boston Eric Rosengren, arriva a prevede fino a 100 miliardi di dollari di acquisti di bond al mese, finché l’economia Usa non sarà davvero su un sentiero di crescita durevole.
Eppure, in un lazzaretto di ammalati come l’economia globale del 2012, l’America appare meno fragile di altri. La Cina è al sesto trimestre consecutivo di rallentamento. L’Europa sprofonda nella recessione, aggravata dalle politiche di austerity. Non aiutano l’eurozona gli stop-and-go della sua banca centrale. Tuttavia le titubanze e i temporeggiamenti di Draghi sono lo specchio fedele di una paralisi decisionale a tutti i livelli. L’ultima voce, confidata ieri
all’agenzia
Bloomberg
da due esponenti della Bce, riguarda lo slittamento dell’annuncio sugli acquisti di bond (scudo antispread) a dopo la sentenza costituzionale tedesca (12 settembre). Se confermato, significa che Draghi non se la sente di andare avanti da solo in difesa di Spagna e Italia: un’eventuale sentenza negativa della Corte farebbe saltare l’intero Esm, il fondo salva-Stati. I mercati si aspettavano da Draghi l’annuncio sui dettagli degli acquisti di
bond alla conferenza stampa Bce del 6 settembre; qualcuno sperava di avere anticipazioni già il primo settembre a Jackson Hole. Forse Draghi teme un errore tattico: svelare i suoi piani di aiuto a Roma e Madrid — sia pure con la “condizionalità ” severa che lui ha aggiunto, l’equivalente di un commissariamento — potrebbe influenzare
in modo negativo i giudici costituzionali
tedeschi?
La differenza “di contesto” tra Draghi e Bernanke è evidente. La Fed è sotto attacco, le bordate della destra sono pesanti, ma finché c’è Obama alla Casa Bianca e con un mandato di altri due anni alla Fed, Bernanke non si sente affatto fragilizzato. Deve avere come unica guida l’interesse degli Stati Uniti, come indicatore di pericolo il tasso di disoccupazione all’8,2%. Draghi invece deve gestire le “pro-
ve d’orchestra” di un concerto di 17 governi, con tante banche centrali rappresentate nel suo consiglio. Il suo azionista più importante, la Bundesbank, è di fatto all’opposizione. E’ in minoranza, ma ha una voce grossa. E’ un po’ come se Bernanke avesse un rappresentante di Romney che gli vota contro a ogni board, e che gestisce i forzieri più dotati, incluse le riserve di Fort Knox.
A Jackson Hole andrà in scena la dialettica fra i due banchieri. Bernanke avrà raccolto altre informazioni preziose sulla salute dell’economia americana, e da questi indicatori si farà guidare per decidere nuovi interventi. Draghi avrà passato parte del suo tempo a studiare le dichiarazioni contraddittorie che ogni giorno vengono da questo o quell’esponente del governo tedesco, della banca centrale tedesca, nonché dalle altre capitali europee. Gli americani sottolineano maliziosamente che un mese fa Draghi scelse per la sua affermazione più ardita («la Bce è pronta a fare tutto il necessario per salvare l’euro») una piazza finanziaria esterna all’euro come Londra. Ora sperano che faccia altrettanto a Jackson Hole, nella tranquillità delle Montagne Rocciose, rinfrancato dall’aria frizzante del Far West.
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