Buba contro Draghi Merkel «media» ma dà  l’ok alla Bce

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È noto che Bundesbank, la banca centrale tedesca, è assolutamente contraria a che la Bce acquisti sui mercati titoli di stato dei paesi in difficoltà . Come spiegava ancora ieri sullo Spiegel il suo presidente, Jens Weidmann, questo equivale a indurre certi paesi «all’assuefazione, come se fosse una droga». Tra l’altro, potrebbe incentivare quei paesi a calcare meno la mano sulle «riforme strutturali» che li stanno strangolando. E questo spiega forse perché i media filo-Monti, in Italia, tacciano sulle differenze tra Merkel e Buba. 
Quel che Mario Draghi descrive come «un tetto agli spread» che appesantiscono il debito pubblico di molti paesi e rischiano di far esplodere l’euro, per Weidmann è «una mutualizzazione del debito» che priva i 17 paesi della possibilità  di controllare la «massa monetaria» circolante. E quindi travolge le difese contro l’inflazione (il «grande incubo» tedesco dal ’23).
Ma Angela Merkel – spiega sempre lo Spiegel – parla con «lingua doppia» sia all’estero che in patria. In sede Ue assicura appoggio alla linea Draghi, in casa difende le sempre più frequenti sortite allarmate di Weidmann. Anche Wolfgang Schaeuble, il ministro dell’economia, è sulla stessa linea: fa la faccia feroce con la Grecia (nein alla proroga richiesta da Atene), ma pensa che certe mosse è meglio che le faccia la Bce, liberando il fondo salva-stati Esm. È all’interno del suo ministero, tra l’altro, che Weidmann viene soprannominato «il fondamentalista». Perché è li dentro che si fanno sentire la pressione dei mercati e anche di molti leader politici non solo europei (Obama, per dirne uno) miranti ad «ammorbidire» il suo rigore.
Del resto da molte grandi banche tedesche – preoccupate del valore dei titoli stranieri che hanno in cassaforte – arrivano incoraggiamenti alla «linea Draghi»; mentre qualsiasi politico cerca consensi facendo la faccia ancora più feroce con Atene. La «doppiezza» di Merkel fa i conti con questo clima ormai pre-elettorale (si vota l’anno prossimo). Ma anche Weidmann evita di affondare troppo le critiche, perché in fondo è uno dei futuri candidati alla presidenza della Bce. 
Tutti devono fare i conti con un’economia reale europea ormai inchiodata. Se si guarda indietro, la Germania è l’unico paese importante che ha fatto registrare una «crescita», per quanto modesta (lo 0,3% tra aprile e giugno). Ma se si guarda avanti, gli indici sono negativi anche per lei. Come per il Pmi, anche l’Ifo – che misura il grado di fiducia delle di settemila imprese – è risultato in calo e in una misura siperiore alle attese. Mentre il sindacato del metallurgici – l’Ig Metall – vedendo l’andamento della produzione recente ha chiesto ieri al governo di riaprire i rubinetti dei «contratti di solidarietà ». È l’istituto della «disoccupazione parziale», che ha impedito nel 2009 le ondate di licenziamenti riducendo le ore di lavoro. Lo Stato corrisponde ai dipendenti delle società  in crisi una quota compresa tra il 60 e il 67% del netto del salario per sei mesi; l’Ig Metall chiede di prolungare la durata fino a 24 mesi, come avvenuto nel 2009.
Ma qualcosa di positivo per la Germania continua ad esserci. Ieri ha piazzato 3 miliardi di Bund con interesse negativo. Cosa significa? Che gli acquirenti hanno comprato titoli di stato tedeschi anche sapendo di rimetterci (pochissimo: -0,0246%), accontentandosi di tenere i capitali «al sicuro». Dal punto di vista dello Stato, invece, significa potersi finanziare gratis, mentre l’Italia deve offrire rendimenti al 6% e la Spagna al 7. Non è la prima volta che accade; anzi, nell’ultima asta il guadagno era maggiore. E dunque: perché mai la Germania dovrebbe volere un raffreddamento degli spread? Non è una «soluzione della crisi», dicono tutti, ma solo un «comprare tempo». Possibile che abbiano dimenticato che «il tempo è denaro»?


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