Coca Cola e McDonald’s: i simboli del capitalismo al bando in Bolivia

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D’accordo, stiamo esagerando ma a voler romanzare questa storia la scena sarebbe più o meno quella descritta.

Succede – e questo non è un romanzo, ma quanto realmente accaduto – che una mattina David Choquehuanca, ministro degli esteri del Governo Morales in Bolivia, dichiara alla nazione che entro la fine dell’anno la Coca Cola sarà  dichiarata illegale. Fuori legge. La Coca Cola, non una bibita ma, che piaccia o meno, la bibita. La più famosa di tutte, in ogni parte del pianeta.

Fuori legge perchè, dicono le parole di Choquehuanca, “il contenuto della Coca Cola ha sostanze che pregiudicano la salute e che potrebbero provocare attacchi cardiaci e tumori. Si tratta di una decisione di salute ma anche di cultura”. Non è la prima volta che il coriaceo presidente Evo Morales sferra l’attacco contro i simboli del capitalismo globale. Solo un anno fa era stata lanciata sul mercato, con un gioco di parole volutamente ironico, la Coca Colla, dal nome degli indigeni Colla che abitano l’altipiano andino. Inoltre, in Bolivia la multinazionale di Atlanta è tra le più pressate dai controlli fiscali e sindacali, al fine di denunciare eventuali irregolarità  contabili e violazioni dei diritti dei lavoratori.

 

A veder bene, la pressione boliviana sulla multinazionale americana non è così campata per aria. Se della Coca Cola è segreta la formula lo sono molto meno i modus operandi, nonostante le migliaia di dollari investiti ogni anno dalla casa madre in immagine. Diritti sindacali negati, condizioni di lavoro inadeguate, processi di produzione insostenibili per l’ambiente, diffusione di abitudini alimentari sbagliate hanno fatto del marchio Coca Cola uno dei più discussi, se non il più discusso a livello mondiale, nemico giurato del pensiero no global e anti imperialista.

Sempre rimanendo in Sudamerica, il movimento sindacale colombiano del settore alimentare Sinaltrainal ha denunciato casi di sequestri, torture, minacce e, soprattutto, le morti di 11 tra lavoratori e leader sindacali, per le quali si ritiene responsabile la Coca Cola company, spalleggiata dagli squadroni della morte paramilitari. La colpa della Sinaltrainal è quella di esigere condizioni lavorative e salariali degne per i lavoratori impiegati da multinazionale nordamericana.

Tornando alla Bolivia, la data scelta per l’estrazione ufficiale del cartellino rosso da sventolare in faccia alla multinazionale americana ha un che di mistico: 21 dicembre 2012. Vi dice niente? Forza, il giorno in cui tutto sarà  compiuto, i mari copriranno la terra, una meteorite impatterà  sul nostro pianeta, la superficie terrestre si ghiaccerà , o qualcosa di simile, perchè così hanno lasciato detto i Maya. La data non è stata scelta a caso: “il 21 dicembre 2012 sarà  la fine dell’egoismo, della divisione. Quel giorno segnerà  anche la fine della Coca Cola e l’inizio di una cultura della vita” ha detto in un discorso pubblico Choquehuanca, ispirandosi alla filosofia Maya (che in Bolivia non hanno mai messo piede).

A ben vedere, quello di Choquehuanca sembra più uno spot propagandistico, di difficile attuazione pratica (e di fatti sono già  arrivate le prime smentite) in difesa dei valori tradizionali locali. Tuttavia, sono tempi duri per i simboli del potere economico statunitense. La messa al bando della Coca Cola (vera o di facciata che sia) accompagna la decisione, altrettanto clamorosa, della multinazionale McDonald’s di ritirarsi dal mercato boliviano. In questo caso non si tratta di un’ imposizione di governo, bensì di una scelta autonoma del colosso americano, che ha visto crollare i propri margini di vendita sull’altipiano andino. Il tamal de pollo ha sconfitto il Big Mac. “Non siamo riusciti ad imporre il nostro marchio tra le abitudini alimentari del popolo boliviano” lamentano i vertici dell’azienda. E questo nonostante alcune strategie commerciali di penetrazione nel mercato locale, come l’introduzione della llajwa, una salsa tipica della cucina boliviana.

Si tratta del primo caso al mondo in cui McDonald’s si vede costretta a chiudere i battenti per via dei propri conti in rosso.


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