Dai corsi di russo agli zoo tutti i progetti pazzi che spillano soldi all’Ue

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È una mappa che segna migliaia di canali di spesa che da Bruxelles raggiungono vecchi e nuovi Paesi dell’Unione, fino agli Stati terzi che, per ragioni sociali o economiche, sono ritenuti meritevoli di sostegno. È una carta scolpita nell’oro, che racconta anche di un gigantesco business, quello che ruota attorno all’enorme mole di fondi strutturali a disposizione per il periodo 2007-2013: 308,3 miliardi di euro, di cui quasi 60 per i programmi italiani. I beneficiari non sono solo enti pubblici: oltre che alle articolazioni statali, a Regioni, Province e Comuni, ogni giorno la caccia ai fondi dell’Ue è aperta a singoli privati, associazioni, agenzie o organizzazioni non governative. E l’analisi dei bandi pubblicati direttamente da Bruxelles o dagli enti territoriali, dei prestiti come dei contributi a fondo perduto, si fa beffe dell’immagine, diffusa di questi tempi di crisi, di un’Europa avara che chiede solo sacrifici. L’Unione, in realtà , finanzia le iniziative più disparate. Non dissipando l’ombra dello spreco. Noi abbiamo messo in fila qualche decina di modi per chiedere i soldi all’Ue: ed è un viaggio che riserva
sorprese.
LA CORSA AI BANDI
Una valanga di fondi in studi, progetti, indagini e seminari. Fra i bandi aperti o chiusi di recente, gestiti direttamente da Bruxelles, ce n’è uno sostenuto da una dotazione di mezzo milione di euro per realizzare “uno o più” sondaggi d’opinione fra i consumatori sullo stato dell’economia in Islanda e Serbia, candidati a entrare nell’Ue. Il 50 per cento è a carico del bilancio dell’Unione e possono partecipare società  di ogni angolo d’Europa. Un progetto che sviluppi gli scambi culturali e l’integrazione con la Palestina vale dai 50 ai 100 mila euro, mentre la presentazione di proposte per favorire l’inserimento al lavoro in Cambogia è incoraggiata con un budget di 3,9 milioni di euro. Per carità : probabilmente ogni cittadino europeo è orgoglioso di sostenere con le proprie tasse la società  civile in Bosnia (i costi dei progetti sono coperti al 90 per cento) o la diffusione dell’istruzione superiore in Africa e nei Caraibi (da 250 a 500 mila euro per ogni iniziativa finanziata). E forse non sono mal spesi i 600 mila euro per la sensibilizzazione dei diritti sessuali e riproduttivi nel Burundi. Forse, chissà . E chissà  se è congrua la cifra di 2,6 milioni di euro per finanziare le iniziative a favore dei disabili in Turchia. Di certo, un recente rapporto dell’Open society foundation punta il dito sul cattivo uso dei fondi per questo settore, specialmente da parte degli Stati dell’Europa centrale e orientale «che continuano a costruire o rinnovare istituti di degenza invece che investire nello sviluppo di comunità  alternative». Il nodo, in ogni caso, è quello della concretezza delle iniziative. Nel mare magnum delle sovvenzioni ai progetti sui grandi temi, che non hanno efficacia diretta ma «preparano o integrano azioni della commissione europea», ci sono sei milioni di euro a disposizione per combattere l’uso illegale di Internet, 9,5 milioni per aggredire la criminalità  finanziaria, 5,5 per contrastare “l’estremismo violento”, i 2,6 milioni di euro stanziati per iniziative che smuovano le coscienze nei riguardi della pena di morte e della tortura. Sia chiaro: tutte finalità  nobili. Ma dipende dai risultati, che gli stessi addetti ai lavori definiscono non sempre quantificabili in questo campo. Di certo, al confronto di queste cifre, i 110 mila euro per scrivere il documento attuativo della direttiva sugli zoo sembrano bruscolini. Ma in tempi di vacche magre fanno discutere anche quelli. Chi vuole, può presentare la propria proposta a Bruxelles. E chi lo ritiene può cimentarsi in un progetto contro il fenomeno delle partite truccate, che ben conosciamo in Italia e che dà  diritto a un contributo sino al 60 per cento dei costi. Pochi sanno che l’Europa, nel campo del turismo, finanzia pacchetti di viaggio transnazionali, premiando in particolare modo le agenzie con bonus da 210 mila euro per ciascuna, e sostiene con 150 mila euro ciascuno i progetti che aiutino la mitica “destagionalizzazione” dei flussi. Anche l’Europa partecipa al finanziamento pubblico dei partiti: a loro riservati, nel bilancio dell’Ue ci sono, per il 2013, 21,8 milioni di euro. Cui devono aggiungersi 12 milioni per le fondazioni: l’europarlamento garantisce l’85 per cento delle spese di funzionamento. Tutto ciò, per le iniziative a regia di Bruxelles. Ma cosa accade quando i fondi vengono erogati a livello locale? Come vengono gestiti e, soprattutto, come viene organizzata
la spesa?
LA RETE
Una ragnatela di finanziamenti intessuta da Stato e Regioni che spesso non parlano tra loro. Si va dal milione e mezzo a disposizione per chi vuole realizzare allevamenti ittici in Campania al contributo da tremila euro che spetta ai militari che vogliono frequentare corsi di formazione in Toscana. È un capitale, quello dirottato sulla formazione professionale: in diverse regioni un giovane che vuole diventare pasticcere, esperto in fotovoltaico o operatore turistico (le qualifiche più ricercate) ha diritto a un contributo annuo da 600 euro mentre un credito da 1.800 euro spetta a chi voglia frequentare corsi di russo o di cinese. La formazione è un pilastro fondamentale delle strategie di crescita benedette dall’Europa: ma in questi anni si sono moltiplicate le inchieste sull’uso che le Regioni fanno di questi fondi. E di come gli stessi siano stati destinati, specie al Sud, a sostenere enti diventati stipendifici: solo in Sicilia nel settore lavorano 8 mila dipendenti. Mentre la percentuale degli allievi che trovano un lavoro “coerente”, al termine dei corsi, non supera il 10 per cento. Nella lista una miriade di incentivi al welfare che si vanno arricchendo di anno in anno. L’ultima tendenza, mettiamola così, è quella dell’assunzione del quasi pensionato: mentre infuria il dibattito sugli esodati, la Regione Toscana prevede un finanziamento da 3 mila a 3.600 euro per gli imprenditori che mettono in organico persone cui mancano meno di 5 anni all’età  pensionabile. Agevolazione simile a quella prevista per gli agricoltori della Campania. Com’è andata, la storia dei fondi europei per il Sud è storia nota: finanziamenti dispersi in una miriade di microprogetti e spesa bloccata su percentuali risibili. Basti pensare che alla fine di maggio, quando mancava un anno e mezzo alla fine del programma, Regioni, Province e Comuni avevano speso solo il 25 per cento dei 60 miliardi a disposizione. Quarantacinque rischiano di tornare a Bruxelles, insomma. Mentre è sempre più intensa l’attività  dell’Olaf, l’organismo comunitario anti-frodi, ma anche di svariate Procure che indagano sui meccanismi di utilizzo dei soldi dell’Europa: a Palermo, caso tragico e paradossale, si tenta di far luce su sovrafatturazioni che sarebbero servite per destinare parte delle risorse europee per i grandi eventi al finanziamento di appartamenti e escort per i politici. Ma in che modo una simile pioggia di fondi determina disparità  e azioni contraddittorie?
LE CONTRADDIZIONI
Una risposta arriva dai fittissimi programmi regionali che riguardano agricoltura e pesca. In Germania ci sono 16 programmi e altrettanti diversi contributi (da 135 a 314 euro per ettaro) per la stessa misura di conversione al biologico. Tutte le regioni francesi, in questo campo, offrono un sostegno alla riconversione dei terreni ma solo 9 al loro mantenimento. E ancora: la realizzazione di un allevamento di api vale 28,4 euro per alveare in Andalusia e 25 in Austria. Diversi programmi, scrive Alexandra Pohl in un dossier sui fondi dello sviluppo rurale patrocinato dall’Ue, “penalizzano l’agricoltura biologica a causa di finanziamenti più bassi per la stessa misura”: restando in Germania, la regione di Hessen concede 45 euro ad ettaro per la pratica del “sovescio” (l’interramento delle colture) fatta da aziende biologiche, ben 70 per quelle tradizionali. In Puglia può accadere che si finanzi coi fondi Ue l’impianto di girasoli e un paio di anni dopo si decida di concedere incentivi per estirparli, quei girasoli: «Un assurdo, che non si verificherebbe con un coordinamento a livello centrale», dice Fausto Durante, responsabile Europa della Cgil. Lo stesso sindacato, in un rapporto sulla pesca, punta il dito su altre contraddizioni: l’Ue concede contributi per tutelare le risorse ittiche, come i 5 mila euro per i piccoli pescatori che vogliono ridurre i mesi di attività , e allo stesso tempo propone sovvenzioni per l’ammodernamento delle barche e l’acquisto di nuove attrezzature per la pesca. E c’è di più: «Nel nostro settore tutto è affidato alle Regioni, ma il mare è un bene comune — dice Giovanni Basciano dell’Agc Pesca — il risultato è che si danno soldi per rottamare le barche e nel Lazio magari si parta subito a diminuire la flotta e in Campania questo avvenga diversi anni dopo. Così però non si ottiene una vera salvaguardia del pescato». Lo spreco non risparmia un settore importante come quello della botanica: anche la salvaguardia delle piante rare merita un aiuto da Bruxelles. Ma quando, come è accaduto in Sicilia, vengono spesi 150 mila euro per pagare un consulente chiamato a coordinare un progetto che tuteli la Zerkova – specie diffusa sui monti Iblei – è inevitabile che nascano i sospetti e le polemiche. Quelle che hanno portato un assessore regionale ad ammettere che si stava commettendo una “leggerezza”. E ad annullare il provvedimento. Ma che impatto hanno avuto le politiche di sostegno specie nelle aree meno sviluppate? Quali obiettivi sono stati raggiunti?
IMPATTO ZERO
Dal 1999 al 2005 il Pil di ogni singolo cittadino dei territori dell’ “obiettivo 1” (le zone più arretrate) è cresciuto del 3%. Ma la situazione cambia da regione a regione: il Sud Italia, ad esempio, non ha conseguito benefici apprezzabili, fermandosi allo 0,6%. Cinque volte di meno. E le regioni che si erano affrancate dal livello di povertà , traducibile per le statistiche comunitarie in una ricchezza media procapite inferiore al 75% della media continentale, ci sono ripiombate. Nel 2001 la Basilicata aveva raggiunto l’83%, sei anni dopo era al 75%. La Sicilia è passata dal 75% al 66%. La Puglia, dal 77% al 67% del 2007. Numeri che confermano lo «scempio» di risorse Ue: «Uno dei paradossi della spesa dei fondi Ue — dice Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria con delega al Mezzogiorno — è l’eccessiva frammentazione: le singole Regioni predispongono interventi di natura locale che vanno ad accavallarsi, in maniera irrazionale, con altri che hanno un interesse nazionale, anche nel campo delle infrastrutture. Senza una regia coordinata, il rischio è quello della polverizzazione, che è l’esatto contrario della concentrazione che ci chiede la Commissione europea».


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