EBREO E ANTI-EBREO IL DOPPIO PROUST

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Dovremo abituarci all’idea che alcuni scrittori quando parlano dei loro colleghi, non vestono i panni seriosi della critica. Amano, piuttosto, rispecchiarsi nell’oggetto che spiano, mescolando le proprie nevrosi con quelle dell’altro. Nel desiderio (forse involontario) di voler scandagliare la parte oscura di sé. Ho imparato più cose su Alessandro Piperno, leggendo il bel libro dedicato a Proust (Contro la memoria, edito da Fandango), che dai suoi romanzi. Non che lo scambio di identità  si spinga al punto che egli si senta Proust. Ma sapersi scrittore lo induce a un’esperienza mimetica, che trasforma l’altro in uno specchio nel quale riflettersi. Come se nel dramma che egli ci rivela — consapevole che la questione ebraica tocchi entrambi — riviva, segretamente, il proprio.
Cosa significa e che sviluppi ha nella Recherche che Proust sia ebreo per parte di madre? La questione prospetta alcuni sviluppi. Il più eclatante dei quali è che Proust non è uno scrittore della Memoria. O meglio: in lui la memoria ha un carattere tutt’altro che rievocativo e nostalgico. Essa è eclettica, bizzarra, inattendibile, parziale, imprecisa. In una parola soggetta all’errore. Perciò si abbandoni l’avvizzita madelainee si provi a leggere la Recherche come il romanzo dell’Oblio. Ossia come un romanzo sull’inconsapevolezza, sull’abitudine e la distrazione, sul fatto che il tempo tende a cancellare le tracce e ad avere il sopravvento sui ricordi. Fino a dissolvere ogni patto romantico e nostalgico che a volte stabiliamo con il passato. Ne consegue che i personaggi di Proust — quelli ad esempio che abitualmente frequentano il salotto Guermantes — spaventati dal tempo che passa, reagiscono illudendosi di vivere in un eterno presente. Quello stesso, verrebbe da aggiungere, nel quale molti di noi oggi hanno la sensazione di nuotare. Qui “presente” designa non tanto la mancanza di futuro, quanto l’assenza di una verità  che la Storia o le conoscenze possano in qualche modo certificare. Da questo punto di vista, Proust è uno scrittore che assumendo in pieno il nichilismo della propria epoca ne rileva il tratto distruttivo. Consapevole che la condizione umana — si pensi al grottesco invecchiare di molti personaggi della Recherche â€” è sottoposta alla ferocia devastatrice del tempo.
Al di là  della apparenze, che potrebbero trarre in inganno, l’uomo proustiano è un essere desolato. In tutto simile a quello che Schopenhauer descrisse filosoficamente e Kafka, di lì a poco, avrebbe riproposto con i suoi protagonisti. Si tratta di una visione in cui l’ottimismo apparirebbe fuori luogo. Che cosa induce Proust a sposare uno sguardo così tragico sulla storia? Non è irrilevante, come si è già  notato, che egli fosse in parte ebreo, ma altresì cattolico. E che tale condizione ibrida — la stessa che ebbe in sorte Montaigne — lo spinse a una forma di mimetismo estremo con il mondo in cui visse. Egli diffuse il proprio ebraismo nella Recherche, ma al tempo
stesso lo bilanciò con la sua parte contraria, ossia con il pregiudizio antiebraico. Verrebbe da chiedersi in quale guazzabuglio questo scrittore dall’identità  versatile era stato capace di infilarsi. In realtà  tutto ciò che di paradossale, contraddittorio e patologico si possa esaminare in lui, va ricondotto alla società  che gli era toccato in sorte di vivere. Il nichilismo proustiano, in quanto perdita dell’autentico, è il medesimo che egli ritrova in quell’aristocrazia che non credendo più in nulla si aggrappa al proprio snobismo. Anch’esso una variante del mimetismo. Tanto la Recherche di Proust quanto Il Castello di Kafka e l’Ulisse di Joyce — suggerisce l’autore — raccontano di un’umanità  all’ultimo stadio. Di opere che, condividendo il primato della potenza profetica, mostrarono il coinvolgimento con il mondo ebraico. E dei loro autori che intuirono come di lì a poco gli ebrei sarebbero diventati — nel modo terribile che conosciamo — i tragici protagonisti della scena storica.
Contro la memoria è una lettura insolita e a tratti tendenziosa dell’universo proustiano. Suscita interesse oltre che per l’intelligenza delle argomentazioni, per la capacità  di restituire un Proust tanto ossessionato dalla fama, quanto deluso dal non conquistarla. Un essere rabbioso e risentito. Senza quei tratti avrebbe scritto la
Recherche? Chissà . Forse non in quel modo, ci fa intendere Piperno. I cui romanzi, grazie a questo saggio, acquistano una luce nuova e la riflettono in modo rivelatore sull’autore che li ha creati.


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Un intellettuale che studiò in maniera originale il «Capitale». Le sue opere possono aiutare a interpretare la realtà  dopo la crisi del marxismo. Anticipiamo la prefazione di una monografia a lui dedicata L’antidoto all’idealismo di Giovanni Gentile e al positivismo delle cosiddette «scienze sociali»

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