Gli operai che non stanno dalla parte del padrone

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A Taranto è il giorno dello sciopero di 24 ore. Due cortei sfilano per la città . Sul palco parlano i segretari di Cgil, Cisl e Uil, Suanna Camusso, Luigi Angeletti e Raffaele Bonanni. E la città , e gli operai della fabbrica, si dividono tra chi è pronto a tutto per difendere il lavoro e chi non vuole più morire di lavoro sporco. 
«Di fronte alla contestazione di reati così gravi c’è una sconfitta di tutti. Significa che non hanno funzionato a dovere la politica e gli organi amministrativi di controllo». Mette il dito nella piaga il sostituto procuratore Maurizio Carbone, segretario tarantino dell’Associazione nazionale magistrati. Invitato a una discussione sul caso Ilva a «Radio anch’io», il magistrato fotografa così quello che sta accadendo in città : «Oggi la preoccupazione di tutti noi che viviamo a Taranto è questa situazione di pericolo per la salute e per la stessa vita. Ed è molto triste vedere una cittadinanza dilaniata tra diritto al lavoro e diritto alla salute». Una realtà  che ha portato i delegati sindacali di Fiom, Fim e Uilm a ripetute assemblee con i lavoratori in vista dello sciopero: «Abbiamo spiegato loro che dobbiamo portare avanti la linea che coniuga difesa del lavoro e difesa dell’ambiente, mantenimento della fabbrica e salvaguardia della salute». Una «linea dell’equilibrio», benedetta anche dalla chiesa e dal ministro Fornero, di fronte ad un’emergenza che impone azioni rapidissime a tutte le autorità  competenti. Ma l’emergenza non c’è da oggi. C’è da anni, come raccontano le cronache delle lotte operaie all’Ilva.
Solo pochi anni fa gli operai dell’acciaieria si fermarono per il rischio di una grave esplosione in un reparto. Per ritorsione, due delegati della Fiom furono licenziati. Tutta la fabbrica si ribellò. Anche in quell’occasione, così come la settimana scorsa, gli operai occuparono il ponte girevole della città . Ma il sistema dei media non dette particolare risalto alla notizia. Come non venne ripresa la notizia della decisione della magistratura di riammettere in fabbrica, con l’articolo 18, i due delegati. Quanto al presente, in una delle manifestazioni dei giorni scorsi si sono presentati lavoratori con uno striscione contro i magistrati. Ma un gruppo di operai l’ha strappato e buttato dal ponte. E nell’assemblea di ieri, quando i dirigenti della Fim e della Uilm hanno proposto la solidarietà  al padrone Riva, sono stati pesantemente fischiati. Perché in fabbrica ci sono tanti operai, della Fiom e anche senza tessera sindacale, che non vogliono subire il ricatto tra salute e lavoro.
Dall’assemblea che ha visto riuniti i 5mila lavoratori dell’area a caldo, quella dei sei impianti sequestrati per il loro devastante inquinamento, è uscita riconfermata la «linea dell’equilibrio». Ad alcuni operai intervenuti per dire in sostanza che il lavoro arriva prima di tutto, se ne sono contrapposti altri che hanno indicato con precisione le responsabilità  dell’emergenza. Lo hanno anche scritto in un volantino distribuito neai cancelli della fabbrica e per le strade di Taranto: «Non vogliamo pagare sempre per le responsabilità  dei soliti. Per le reali colpe di una classe politica superficiale, a conoscenza delle problematiche che da 50 anni affliggono Taranto e i suoi lavoratori, che ha atteso passivamente che si arrivasse al 26 luglio. Per le reali colpe di uno Stato che gestisce lo stabilimento per 36 anni, poi regalandolo e sollevandosi da ogni responsabilità  sui veleni prodotti fino ad allora. Per le reali colpe del signor Riva, che ha gestito la propria azienda con la logica del profitto ad ogni costo e della persecuzione in fabbrica. Per le reali colpe del sindacato, sempre più vicino al padrone, che si è allontanato dai lavoratori».
La discussione operaia andrà  avanti anche dopo lo sciopero. Magari aiutata da alcune elementari puntualizzazioni. Come quella del gip che nel provvedimento di sequestro specifica che il personale in forza nei reparti e nelle aree sequestrate dovrà  essere ricollocato all’interno del siderurgico. Che qualunque sia la decisione del tribunale del riesame, dovrà  essere ridefinita su norme Ue, come chiede il Wwf, l’autorizzazione integrata ambientale concessa dal governo Berlusconi. Che c’è «una realtà  incontrovertibile – come sottolinea Legambiente – che emerge dalle perizie approntate per questa inchiesta e dalle condanne ricevute negli anni dall’Ilva e dai suoi dirigenti: la fabbrica inquina in maniera intollerabile per la salute dei cittadini e per l’ambiente di Taranto, ed ha reiterato per anni il reato».


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