La continuità  al governo

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«Fratelli» o «Foulul»? Agli egiziani, si sa, non manca il buon umore, neanche nelle circostanze più difficili e tristi. Così anche quest’anno i datteri, immancabili su ogni tavola durante il mese di Ramadan, portano nomi presi a prestito dalla politica. I datteri «Fratelli», in onore ai Fratelli Musulmani, sono quelli di qualità  migliore. I più scarsi ed economici sono i «Foulul», termine tutto egiziano con il quale vengono identificati i «resti» del regime di Hosni Mubarak, coloro che non hanno mai appoggiato la rivoluzione del 25 gennaio. E il nuovo premier Hisham Kandil? Nessun dattero per lui, a conferma che la formazione del nuovo governo egiziano, annunciato a metà  settimana da Mohamed Morsy (Fratelli musulmani), primo presidente eletto democraticamente in Egitto, suscita ben poca emozione tra gli oltre ottanta milioni di cittadini del paese nordafricano. Un disinteresse che è nasce anche dalla sostanziale continuità  tra il nuovo esecutivo e quelli che lo hanno preceduto, nominati dall’Esercito. Non a caso il generale Hussein Tantawi, capo del Consiglio supremo delle Forze Armate è stato confermato alla guida del ministero della difesa, incarico che svolge da oltre 20 anni, con Mubarak e nel dopo-Mubarak. Una riconferma quasi obbligata per un premier che deve tenere conto del precario equilibrio di poteri esistente tra i Fratelli musulmani vincitori delle legislative e delle presidenziali e i vertici delle Forze Armate che, oggi come nei decenni scorsi, continuano a ritenersi i padroni dell’Egitto. Un governo fatto con il bilancino ha deluso però non solo i rivoluzionari – che si attendevano la nomina di ministri scelti tra i principali oppositori di Mubarak – ma anche gli islamisti più radicali. Il principale partito salafita, Nour, che alle elezioni parlamentari aveva incassato quasi il 25% dei voti, ha scelto di restare fuori dall’esecutivo perché deluso dall’offerta di un solo posto. «Ho scelto i ministri in base alla loro esperienza», ha provato a giustificarsi Kandil dopo la cerimonia di giuramento alla quale hanno partecipato i trentacinque componenti della nuova squadra di governo. Ma non ha convinto nessuno. Troppe riconferme per poter dare un segnale di discontinuità . Alla cultura resterà  Mohamed Saber Arab e alla produzione militare Ali Sabri, che facevano parte del governo uscente di Kamal Ganzuri. Rimarranno la loro posto anche i ministri degli esteri, Mohammed Kamel Amr, quello delle finanze, Mumtaz al Said, e le uniche due donne del vecchio governo nominato dai militari. Quattro ministeri sono andati a rappresentanti della Fratellanza Musulmana, tra i quali quello dell’informazione assegnato a Salah Abdel Maksoud – tra le proteste dei giornalisti egiziani che chiedevano l’abolizione di questo ministero che serve solo a limitare la libertà  di stampa. Kandil è già  al lavoro. L’economia stagna, la disoccupazione e l’inflazione reale continuano a salire e i black out energetici sono quotidiani, anche al Cairo. Gli aiuti finanziari internazionali sono condizionati alle misure di austerità  volte a stabilizzare i conti pubblici e che, non ci sono dubbi, colpiranno la massa degli egiziani a basso reddito. Non certo l’élite che controlla il paese e che i Fratelli musulmani neppure osano sfiorare, ritenendola vitale per il rilancio dell’economia. All’emergenza economica del resto si aggiunge quella legata alla sicurezza interna. Migliaia di egiziani copti continuano a manifestare davanti alla centrale di polizia di Giza (al Cairo) per protestare contro l’allontanamento forzoso dalle loro case degli abitanti cristiani di Dahsour, un paese poco distante, dove da giorni si susseguono scontri interreligiosi. Mercoledì scorso nove persone sono rimaste ferite negli scontri scoppiati a Dahshur, sulla scia di quelli della settimana scorsa, costati la vita a un musulmano. Tutto è iniziato quando un copto ha bruciato la camicia di un musulmano mentre la stava stirando in lavanderia. «Questo è il governo del popolo e non rappresenta alcuna fazione politica. Abbiamo molte sfide davanti a noi, la situazione è critica e da soli non possiamo farcela. D’ora in poi dobbiamo smettere di parlare di noi e loro, di cristiani, copti e musulmani. Siamo tutti cittadini egiziani», ha proclamato Kandil. Belle parole: ma trovare una via d’uscita non sarà  facile, come ha spiegato su Twitter Mohammed El Baradei, esponente liberale ed ex direttore dell’Agenzia internazionale per l’Energia Atomica (Aiea). «Abbiamo un problema, il settarismo, che si sta intensificando e diffondendo – ha scritto El Baradei È inutile parlare di fabbrica sociale, commissioni per la riconciliazione e migrazioni forzate dei cittadini senza trovare un reale rimedio per la radice del problema».


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