«Assad ha perso la classe media»

Loading

«I contesti sono distinti. In questa fase, una sezione trasversale della popolazione siriana sente compromesse la stabilità  e la prosperità  che il partito Baath aveva costruito negli ultimi decenni». Zubaida fa riferimento alle ampie concessioni economiche alla classe media urbana, parte integrante delle liberalizzazioni degli anni settanta, volute da Hafez al-Assad. È per questo che la crisi siriana, che fino a pochi mesi fa sembrava solo lambire le grandi città , diventa ora un movimento urbano? «È un tipo particolare di movimento urbano. È innegabile che Aleppo e Damasco siano ancora roccaforti del regime di Assad. Mentre gli insorti agiscono per interessi sovrapponibili ma con metodi e scopi distinti». È per questo motivo che la composizione dell’Esercito libero siriano (Els) appare tanto eterogenea. Molti dei militari disertori, che combattono nel quartiere di Salaheddin, per esempio, non sono neppure di Aleppo. «Sul campo ci sono jihadisti che vengono da altri paesi arabi, riforniti e formati in Arabia Saudita. Si tratta però di una minoranza. Invece, gli insorti sono principalmente siriani. Ad esempio tra le brigate dell’Els che combattono ad Aleppo ci sono soprattutto siriani di altre regioni. Per questo, gli stessi cittadini del quartiere di Salaheddin, colpito dai recenti scontri, protestano contro le operazioni militari portate dai disertori dell’Els nel loro quartiere». Ma il più duro attacco al regime siriano potrebbe arrivare dalla Turchia. Secondo la stampa turca, il governo di Ankara sarebbe già  pronto a formare una zona cuscinetto al confine settentrionale siriano. «La Turchia ha ogni interesse perché il regime di Assad finisca, ma teme più di ogni altra cosa l’instabilità  al confine meridionale. Il Kurdistan siriano è un’estensione del Kurdistan turco. E così, la maggiore garanzia per il governo di Ankara contro nuove operazioni del partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) viene dalla stretta alleanza tra il governo turco e il governo autonomo del Kurdistan iracheno di Mustafa Barzani». Mentre, dopo aver inviato ingenti aiuti ai ribelli, Stati uniti e Gran bretagna potrebbero fare pressioni per l’imposizione di una «no-fly zone» nel nord del paese. «Americani, francesi e inglesi, ma anche Arabia Saudita e paesi del Golfo compiono un calcolo strategico. Secondo loro, la fine di Assad coinciderebbe con l’indebolimento dell’Iran e del loro alleato ideologico libanese Hezbollah». Ma potrebbe anche profilarsi un cambiamento con metodi pacifici ai vertici del Baath per placare lo scontro sul campo. In questa direzione può essere interpretata la probabile nomina del diplomatico Lakhdar Brahimi come nuovo mediatore delle Nazioni unite. «Non c’è spazio per soluzioni diplomatiche in Siria. Ci sono in gioco interessi regionali per cui non vedo una soluzione pacifica alla crisi. In ogni caso Bashar al-Assad non lascerebbe mai il potere volontariamente», ammette lo storico. D’altra parte, del nascente nazionalismo antiAssad, sono protagonisti i Fratelli musulmani siriani. «Gli islamisti moderati siriani sono la componente dominante del Consiglio nazionale che unisce le forze di opposizione siriane a Istanbul. Anche se spesso hanno condotto battaglie insieme ai jihadisti e hanno interessi sovrapposti, islamisti moderati e estremisti non costituiscono un blocco unitario in Siria». I Fratelli musulmani siriani, come i loro omologhi egiziani, si sono sostituiti all’assenza dello stato tra gli strati popolari negli anni settanta e ottanta, ma hanno subito la durissima repressione del regime, culminata nel massacro di Hama del 1982. Inoltre, il partito Baath ha sempre impedito agli islamisti siriani ogni attività  politica ufficiale. «Anche nel Sinai operano gruppi jihadisti dello stesso genere, come è emerso dall’attacco nei pressi del valico di Gaza dei giorni scorsi» – prosegue lo storico, autore di Islam, il popolo e lo stato: idee politiche e movimenti . Nel Sinai, sembra giocarsi un nuovo scontro di potere tra Consiglio supremo delle forze armate e governo egiziano, guidato dagli islamisti. «I Fratelli musulmani non vogliono lo scontro con l’esercito su questioni di confine. Anche se la leadership del movimento è contraria alla chiusura del valico di Rafah, il presidente Morsy non andrebbe contro l’esercito su questo punto dopo lo sdegno per le morti nel Sinai» – assicura Zubaida. Secondo lui, la regione è oggetto di imbarazzo per altri motivi. «I beduini egiziani sono stati sistematicamente esclusi, marginalizzati e oppressi. Le popolazioni del Sinai sono state volutamente tenute fuori dal capitalismo clientelare di Hosni Mubarak e dai grandi profitti del mercato turistico. Ma ora iniziano a mobilitarsi», conclude Zubaida.


Related Articles

Quelle ricette shock di Donald Trump che parlano al paese profondo

Loading

Così il miliardario Donald Trump risale nei sondaggi Il “New Yorker”: abbiamo la nostra Le Pen

A Praga un enorme dito medio contro il degrado della politica

Loading

È alto dieci metri, galleggia e punta verso la presidenza

La Spagna scopre la mafia cinese

Loading

“Guarda un po‘ chi sta lavando qui…” “Guarda un po‘ chi sta lavando qui…” Ferran Martà­n / lainformacion.com

L’arresto del padrino della mafia cinese in Spagna ha messo in luce tutta la potenza, la complessità  e la coesione internazionale dei gruppi criminali che operano all’interno di una comunità  in forte espansione.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment