«Chiarezza su tempi e soldi per la bonifica»

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A quel tavolo prenderanno parte anche alcune associazioni civiche e ambientaliste del territorio tarantino. Riunite sotto il cartello di «Altamarea», l’Ail, Impatto Zero, Cittadinanza Attiva-Tribunale del malato, il comitato Vigiliamo per la discarica, Italia Nostra e PeaceLink, parteciperanno alle riunioni del riesame in qualità  di pubblico interessato. 
Erano presenti anche negli incontri precedenti al rilascio dell’ultima Aia quando, però, le proposte avanzate da inserire come prescrizioni non furono prese in considerazione ed i loro rappresentanti esclusi nell’ultima fase decisionale. Il loro obiettivo oggi è di «vigilare affinché la sua riscrittura non diventi un nuovo passaporto per continuare ad inquinare». Secondo gli ambientalisti ci sarebbe un equivoco di fondo quando si parla di messa a norma degli impianti. La legislazione, infatti, prevede che una fabbrica sia autorizzata a produrre solo in caso di adozione delle Bat, le migliori tecnologie disponibili; proprio sul termine «disponibili», però, l’Ilva si è giocata in passato le migliori carte. 
«L’Ilva fa riferimento a questo aggettivo – afferma Alessandro Marescotti di PeaceLink – per dire che ha scelto fra le varie tecnologie quella che più le sembrava idonea alla propria disponibilità  economica ed ha già  detto in passato che è dotata delle Bat. La nostra risposta è, pertanto, che occorre andare oltre le migliori tecnologie disponibili e accessibili parlare dell’adozione delle migliori tecnologie in assoluto, ossia quelle a cui fa riferimento la perizia chimico-tecnologica commissionata dal Gip Todisco». Per fare chiarezza su cosa intenda la legge per «messa a norma», poi, gli ambientalisti si rifanno al dlgs 59/2005 inglobato nel 2006 nel codice dell’ambiente (dlgs 152). All’articolo 8 si legge: «Se, a seguito di una valutazione dell’autorità  competente, che tenga conto di tutte le emissioni coinvolte, risulta necessario applicare ad impianti, localizzati in una determinata area, misure più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili, al fine di assicurare in tale area il rispetto delle norme di qualità  ambientale, l’autorità  competente può prescrivere nelle autorizzazioni integrate ambientali misure supplementari particolari più rigorose, fatte salve le altre misure che possono essere adottate per rispettare le norme di qualità  ambientale». È da qui che le associazioni tarantine si aspettano che il ministero voglia ripartire. «Questo articolo di legge – afferma sempre Marescotti – è stato completamente disatteso dall’Aia rilasciata all’Ilva nel 2011. Dalla perizia dei chimici, infatti, risulta che le tecnologie dell’Ilva non rientrano nelle migliori Bref (Bat Reference), ossia nelle migliori tecnologie in assoluto. In alcuni casi le tecnologie adottate sono fuori dal range delle Bref. Questo è gravissimo perché vuol dire che i vari tecnici della commissione Aia, compresi quelli degli enti locali, non hanno vigilato». Sempre gli ambientalisti riportano alcuni numeri che rendono evidente la differenziazione di performance tra le tecnologie che l’Ilva si è impegnata ad acquisire e le Bref, prendendo come spunto le emissioni non convogliate delle polveri nel processo di cokefazione: «Su una tonnellata di produzione – sottolinea sempre Marescotti – le emissioni stimate in una gestione Ilva post interventi Aia 2011, corrisponderebbe a 69,6 g di inquinante. L’inquinamento massimo consentito dalle Bref, invece, sarebbe di 17,2 g. Una differenza abissale». Mentre le istituzioni si affannano nel trovare una soluzione, ad agosto le due centraline dei Tamburi hanno registrato una nuova impennata dei valori di Pm 10 per ben quattro giorni di seguito (tra il 7 e il 10 agosto) oltrepassando il valore limite di 50 µg/m³ (dati Arpa Puglia riportati dal sito di informazione ambientale inchiostroverde.it).


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