«Ilva, misure imponenti per fermare il disastro»

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TARANTO — Lo sapevano. Lo fanno ancora. Devono smettere perché mettono in pericolo la vita dei tarantini. In quale modo lo decidano i «custodi giudiziari con la supervisione dei pm». 
I giudici del Riesame di Taranto tolgono all’Ilva la «facoltà  d’uso» dell’acciaieria che con le sue «emissioni nocive» ha provocato un «disastro ambientale» «ancora in atto». E, nelle motivazioni del provvedimento del 7 agosto scorso depositate ieri, puntano il dito contro la «deliberata scelta della proprietà  e dei gruppi dirigenti», confermando il sequestro degli impianti a caldo deciso dal gip Patrizia Todisco. E non dispongono la decisione «irrevocabile»: lo spegnimento. «Rappresenta solo una delle soluzioni tecniche possibili», scrivono nelle 132 pagine del provvedimento Rita Romano, Benedetto Ruberto e il presidente Antonio Morelli. E rinviano ai tecnici per capire come continuare a produrre in un impianto inquinante senza emettere sostanze nocive.
Sottolineando che a Taranto esiste una «grave e attualissima emergenza ambientale e sanitaria», aggiungono che «solo la compiuta realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo», misure «imponenti e onerose» — prima fra tutte il «sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni maggiormente inquinanti (diossine e Pcb)», il cui obbligo è eluso da 13 anni — «potrebbe legittimare l’autorizzazione a una ripresa della operatività  degli impianti». Ma solo «previa attenta e approfondita valutazione», specificano. Ricordando che l’obiettivo è uno: «Il risanamento ambientale e l’interruzione delle attività  inquinanti». Le documentano nelle motivazioni. Ricordano che i periti hanno dimostrato che «è fondato ritenere un collegamento tra malattie accertate e attività  siderurgica anche recente dello stabilimento Ilva». Hanno mostrato che a Taranto le patologie tumorali e dell’apparato respiratorio sono più alte rispetto al resto della Puglia, che per la «mortalità  infantile si registra un eccesso, soprattutto con riferimento alle malattie respiratorie acute al di sotto di un anno di età » e che «le percentuali di decessi e ricoveri per malattie respiratorie nei quartieri Borgo e Tamburi risultano aumentate sino a 4 volte». 
L’accusa di aver compiuto questo «scempio» in «piena consapevolezza» i giudici la imputano a Emilio Riva e a suo figlio Nicola, attuale presidente cda: entrambi già  edotti a riguardo da condanne ricevute e da protocolli di intesa firmati (e disattesi), fa notare il Riesame. Nonché all’ex direttore Luigi Capogrosso che «avrebbe potuto suggerire scelte idonee, ma ha preferito seguire quelle economicamente più gradite ai proprietari». Come «non consentire il monitoraggio degli inquinanti all’interno del siderurgico, evidentemente per la conoscenza degli inaccettabili livelli di inquinamento ivi presenti». «Figuriamoci se facciamo mettere le centraline all’interno», aveva detto, intercettato. Mentre disponeva regali e mazzette e, secondo i pm, collaborava, «con la consapevolezza di Emilio Riva» a «gravi illeciti» come la corruzione in atti giudiziari su procedimenti che riguardavano l’Ilva.
Rispondendo indirettamente alle polemiche, il Tribunale fa notare che «la salute delle persone è un bene primario tutelato dalla Costituzione senza alcun compromesso in grado di farlo arretrare». Ma annota le «importanti ricadute concrete» di una tale decisione sulla «tutela d’impresa produttiva e la tutela della manodopera» costituzionalmente difese. Quindi invita ad adottare le scelte «idonee a salvaguardare sicurezza degli impianti e a consentire, in ipotesi, la ripresa dell’operatività », «una volta eliminate del tutto le emissioni illecite» possibili solo con «onerose misure d’intervento» «ineludibili e urgenti». Per la «complessità » delle misure tecniche da adottare il Tribunale «ritiene opportuno e necessario il coinvolgimento dei vertici aziendali». Per questo aveva indicato la figura del presidente Ferrante come uno dei custodi giudiziari, perché «utile oltre che necessario anche sotto il profilo finanziario occorrente per gli interventi da realizzarsi». Scelta non condivisa dal gip che ha estromesso Ferrante ritenendolo in conflitto di interesse.


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