OLANDA. Nelle urne la paura dell’Europa

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AMSTERDAM. Sul volto della statua c’è un sorriso che sembra una smorfia. «Siamo assistendo a uno scontro di civiltà , non solo tra Stati ma tra individui». Dieci anni fa, il 6 maggio 2002, Pim Fortuyn veniva ucciso da un fanatico animalista. L’intellettuale eclettico, omosessuale brillante, era diventato famoso per le invettive contro l’Islam e la volontà  di chiudere all’immigrazione. Se quella statua potesse parlare, oggi forse avrebbe sostituito l’Islam con l’euro, l’immigrazione con lo spread. È quel che ha fatto Geert Wilders, il nazionalista dai capelli biondo platino, già  condannato per il suo film Fitna in cui paragonava il Corano al Mein Kampf, oggi in prima fila per il ritorno al gulden, il fiorino olandese. Ed è quel che ha reso Emile Roemer, un ex maoista soprannominato “teddy bear”, l’orsacchiotto, per la sua morbida stazza e l’aria bonaria, più da oste simpatico che da rivoluzionario duro e puro, il favorito di un appuntamento elettorale che potrebbe sconvolgere gli equilibri europei. L’Olanda ha paura, ma non più, non solo, dello scontro di civiltà . Adesso bastano i cartelli “vendesi” che si vedono ovunque, appena usciti dalle grandi città , simbolo di una bolla immobiliare pronta ad esplodere. Fa paura la disoccupazione salita al 6,5%, tasso che farebbe sognare i “garlic countries”, i paesi del sud Europa che puzzano di aglio, come li chiama Wilders, ma che qui invece è considerato una calamità . Diventa intollerabile il pensiero di decurtare, come chiedono i piani di riduzione dei deficit imposti da Bruxelles, il glorioso Welfare State, pilastro sul quale è costruita la fragile terra dei polder. «Adesso che la gente sente la pancia meno piena, le divisioni sull’immigrazione sembrano un lusso», ironizza Paul Jansen, uno dei principali editorialisti di De Telegraaf, il quotidiano della destra liberale che ha governato il paese negli ultimi due anni. Sia il Pvv, il partito di Wilders, che il Partito socialista guidato da Roemer, fanno una campagna basata sull’euroscetticismo. È un netto cambio di priorità  per il paese che ha attraversato un decennio di traumi e polemiche su multiculturalità  e tolleranza, dall’uccisione di Fortuyn a quella del regista Theo Van Gogh, nel 2004, per mano di un estremista islamico. Qualcosa rimane, come dimostra il riflesso condizionato scattato mercoledì, quando un errore di comunicazione tra piloti e torre di controllo su un volo in arrivo a Schipol ha fatto vivere al Paese una mezz’ora di ansia per la possibile minaccia terroristica. Ma quelli sono timori ancestrali, conficcati nell’immaginario collettivo. La paura quotidiana, quella che affiora ovunque, si annida ormai nei portafogli. Il governo del liberale Mark Rutte, alleato con i cristiano democratici, è stato costretto alle dimissioni dopo la bocciatura del suo programma di austerity da parte di Wilders che garantiva un appoggio esterno in Parlamento. «Voleva fare un referendum sull’Europa. Ci è riuscito», dice Jansen che prevede un lungo periodo di turbolenza per l’Olanda. Subito dopo la caduta del governo, nell’aprile scorso, lo spread olandese è raddoppiato. Per tornare alla normalità  solo quando Rutte è riuscito ad approvare, con il voto dell’opposizione, la Finanziaria 2013 che fissa sotto al 3% il rapporto deficit/Pil. Una misura indispensabile per rispettare i parametri europei e mantenere la fatidica tripla A, sulla quale però pesa l’esito elettorale. L’Europa non entra nella palazzina adornata di gerani in Laurierstraat, al quartiere Jordaan. È la sede del comitato elettorale del Sp, affollata di militanti che preparano gli ultimi volantini. La riduzione del deficit? «Preferiamo le persone alle stupide regole di Bruxelles», risponde Herman, 67 anni, sindacalista e iscritto al partito dall’anno di fondazione, 1972. La minaccia dei mercati? «Un ricatto al quale non si deve cedere». Il partito socialista ha come simbolo un grosso pomodoro rosso con all’interno una stella che ricorda il passato maoista dei suoi fondatori. È sempre rimasto ai margini, non ha mai avuto ministri. Solo grazie a Roemer, cinquantenne maestro di scuola, c’è stata la svolta di lotta e di governo. Secondo i sondaggi, potrebbe ottenere almeno 30 seggi, raddoppiando quelli delle ultime elezioni. Anche se negli ultimi giorni, i consensi stanno scendendo a favore del Vvd, Roemer e la sua protesta autarchica saranno al centro delle trattative per il nuovo governo. Nel programma elettorale promette più tasse per i ricchi e investimenti per sostenere la crescita. Sostiene che le misure di austerità  promosse dalla Germania negli altri paesi europei non hanno dato risultati. Chiede un referendum sul fiscal compact, che l’Olanda non ha ancora approvato. Per una strana coincidenza si vota il 12 settembre nello stesso giorno in cui la Corte costituzionale tedesca dovrà  dare il suo responso sul nuovo trattato europeo. Come già  nel 2005, quando ci fu il “no” al referendum sulla Costituzione europea subito dopo quello della Francia, l’Olanda rischia di essere sabbia nell’ingranaggio. Finora il governo dell’Aja è stato uno dei più fedeli alleati di Berlino. «Non vogliamo più fare il lavoro sporco per la Merkel», racconta Dennis De Jong, responsabile per le relazioni internazionali del Sp, che pensa a “nuove amicizie” in Europa, guardando verso alla Francia, che neanche a farlo apposta ha un presidente socialista che si chiama Hollande. All’estremo opposto, Wilders parla poco di Islam e molto di euro, di Schengen, dei panfili dei greci che non sono tassati, della capitalizzazione del fondo salva-Stati. «La loro Bruxelles, la nostra Olanda», è il suo slogan. Ha commissionato un fantomatico rapporto per dimostrare quanto il paese potrebbe guadagnare con il ritorno alla moneta nazionale. Contro la libera circolazione delle persone in Europa, Wilders si è inventato un controverso sito nel quale gli olandesi possono denunciare lo “scippo” di un impiego da parte di un lavoratore polacco o romeno. Sembra folclore, così come le dichiarazioni del piccolo partito cristiano integralista, in lizza per le elezioni, che ha applaudito il discorso sullo “stupro legittimo” del repubblicano Todd Akin. Nelle strade di Amsterdam, mentre qualche ragazzo brillo si tuffa nei canali sotto al sole estivo, la campagna elettorale è all’insegna della sobrietà . Non ci sono manifesti sui muri. Per queste elezioni il comune ha vietato le affissioni. I partiti si devono accontentare di un cartellone unico in cui stipare i volti dei vari leader come figurine: grazie al sistema proporzionale, almeno venti partiti sono in corsa, e una decina potrà  entrare in parlamento. È il motivo per cui le lunghe trattative, prima e dopo il voto, sono una tradizione consolidata. Dal giorno delle elezioni del 2010, Rutte dovette aspettare quattro mesi per essere finalmente nominato premier. Questa volta potrebbe essere ancora peggio. Molti temono che per Natale non ci sarà  ancora un esecutivo. “Roemer può vincere ma rimanere all’opposizione” prevede Jansen, il notista politico di De Telegraaf. Se vogliono governare, i socialisti dovranno comunque sottostare al gioco delle alleanze e smussare i loro proclami antieuropeisti. Il partito laburista, in ripresa nelle ultime settimane, è molto meno critico con Bruxelles. Nessuno si sente di escludere che possa toccare di nuovo a Rutte. Il primo ministro è in risalita nei sondaggi e nelle ultime settimane ha fatto un po’ di autocritica sulla lealtà  assoluta ai tedeschi. L’Olanda è stata spesso un laboratorio di tendenze, dal calcio totale di Cruijff e Nenskens, al reality show inventato da Endemol. Molte società  di moda mandano i “trend watchers” nelle strade di Amsterdam e Rotterdam per vedere come le ragazze combinano e reinventano i generi. Forse non è un caso che nel 1992 sia stato firmato qui, a Maastricht, il trattato che ha lanciato l’unione monetaria. Ora l’alleanza dei populismi di destra e di sinistra prende quella data simbolica come fonte di ogni male. Solo il 58% degli olandesi è favorevole a una maggiore integrazione nell’Ue, contro il 76% di appena due anni fa. Anche se sono agli antipodi, Wilders e Roemer si contendono lo stesso elettorato. Sono entrambi partiti plebiscitati dai “blue collar”, il nuovo proletariato che teme di perdere il lavoro di una vita. Secondo lo storico Geert Mak, autore del viaggio “In Europa” che fu un bestseller in Olanda, il paese sta attraversando una lunga crisi di identità  simile a quella che conobbe nel 1672 quando dovette affrontare l’invasione di francesi e inglesi. Fu la fine dell’Età  dell’Oro e l’inizio di una lenta presa di coscienza. Il piccolo paese capì allora che non poteva più rimanere fuori dal mondo. Oggi Amsterdam, con l’alta velocità , è a sole due ore di treno da Bruxelles. Ma il mito e la speranza dell’isola felice sopravvivono ancora.


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