Quattro nuovi indiziati nell’indagine Vatileaks

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CITTà€ DEL VATICANO — La seconda e più delicata fase dell’inchiesta «Vatileaks» si concentra sui riscontri, si compulsano centinaia di email e sms, si controllano tabulati telefonici, ci si prepara a nuovi interrogatori nel più rigoroso segreto istruttorio. 
Un lavoro complesso e difficile che parte da un numero circoscritto di persone sottoposte a indagini ma non ancora indagate formalmente: al momento gli indiziati non sono più di tre o quattro. È chiaro che nessuno può sapere come si evolverà  l’inchiesta e quanti sospetti arriverà  a coinvolgere, ma certo non si parte da una «ventina» di indiziati, secondo una stima circolata ieri ma smentita Oltretevere. Anche perché bisogna distinguere tra semplici testimoni sentiti durante la prima fase dell’istruttoria e persone che potrebbero invece avere responsabilità  nella circolazione dei documenti riservati rubati al Papa.
La «chiusura parziale» dell’istruttoria, il 13 agosto, ha portato al rinvio a giudizio per «furto aggravato» dell’ex maggiordomo Paolo Gabriele, che andrà  sotto processo dopo il 20 settembre assieme al tecnico informatico Claudio Sciarpelletti, accusato per parte sua di favoreggiamento ma considerato «marginale» nella vicenda. Nella requisitoria del Promotore di giustizia Nicola Picardi e nel rinvio a giudizio del giudice istruttore Piero Antonio Bonnet veniva citata una serie di persone coperte da una sigla, quattordici testimoni indicati con lettere dalla «A» alla «P» (compreso un «E» che ha subìto una perquisizione), più altri personaggi indicati come «W» o «X» che in Vaticano avrebbero consegnato a Sciarpelletti buste di documenti da dare a Gabriele, un «Y» che l’ex maggiordomo voleva conoscere e così via. Ma essere sentiti non significa essere sospettati e una quantità  di testi non è in alcun modo coinvolta nell’indagine, ad esempio quattro lettere («H», «M», «N» e «O») corrispondono alle Memores Domini in servizio nell’Appartamento ed estranee alla vicenda.
Del resto non tutti i nuovi sospetti, come del resto non tutti i nuovi testi da sentire, sono per forza nomi già  citati. Anche se alcuni di questi dovranno ancora chiarire un po’ di cose. A cominciare dal «padre spirituale» di Paolo Gabriele, indicato come «B.» (le lettere non corrispondono alle vere iniziali, precisano Oltretevere), il sacerdote al quale «Paoletto» aveva consegnato copia dei documenti e che dice di averli bruciati «dopo qualche giorno»: salvo consigliare a Gabriele, ha raccontato l’ex maggiordomo, di stare zitto e ammettere le proprie responsabilità  soltanto se glielo avesse chiesto «il Papa in persona».
È probabile si vada avanti ancora per mesi. In Vaticano si dicono pronti, nel caso, a presentare rogatorie all’Italia. Data la «precedenza» al processo per furto aggravato, in ballo ci sono ancora i reati più gravi, quelli dai quali sono partite le indagini: con la «denuncia contro ignoti» presentata il 3 febbraio dal comandante della Gendarmeria, Domenico Giani, per «delitti contro lo Stato e i poteri dello stesso», e ancora vilipendio delle istituzioni, calunnia, diffamazione, inviolabilità  dei segreti. E poi l’indagine è aperta, a chi avesse ricevuto quei documenti potrebbe essere anche contestata la ricettazione, a chi mente la falsa testimonianza e così via.
Gabriele ha sostenuto d’aver fatto tutto da sé e ammesso solo la consegna di documenti al giornalista Gianluigi Nuzzi, autore del libro Sua Santità , ma non convince affatto. Ci sono state altre fughe di notizie. Troppo loquace e «manipolabile» e desideroso d’intessere relazioni, l’ex maggiordomo. Per gli inquirenti vaticani è appena iniziato un lavoro enorme che prospetta la celebrazione di un secondo e più corposo processo. Fermo restando che ci sono responsabilità  sfuggenti che non si risolvono in un processo e che alla fine sarà  Benedetto XVI a decidere che cosa è bene fare. Infedeltà , tradimenti. Domenica, all’Angelus, il Papa ha parlato della figura di Giuda: «La sua colpa più grave fu la falsità , che è il marchio del diavolo».


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