Scudo anti-spread, dubbi e cautele di Monti e Rajoy
Negli incontri ufficiali fra capi di governo, le buone maniere e le frasi di circostanza sono doveri protocollari. Le lodi pronunciate ieri a Madrid dal presidente del consiglio Mario Monti, nei confronti del premier conservatore spagnolo Mariano Rajoy, padrone di casa, sembrano tuttavia andare al di là del generico «apprezzamento» che non si nega a nessuno. Il primo ministro italiano, infatti, ha voluto sottolineare la sua sincera ammirazione per le «riforme» compiute dal governo iberico, citando in particolare la legge sul mercato del lavoro che facilita i licenziamenti e le durissime misure di «austerità » adottate a inizio luglio (65 miliardi di tagli in due anni). Strani gusti, per uno che dovrebbe essere «in sintonia con il centrosinistra europeo» (Massimo D’Alema dixit).
E pensare che i sindacati di entrambi i Paesi si erano congiuntamente rivolti ai due capi di governo per chiedere loro di adottare «una posizione comune ferma e decisa a difesa degli interessi dell’immensa maggioranza della popolazione dei due stati e dell’Unione Europea». La risposta all’istanza delle organizzazioni dei lavoratori da parte dell’ospite italiano non poteva essere, dunque, più chiara, addirittura rafforzata dall’affermazione che l’esecutivo spagnolo sarebbe «espressione di un’ampia maggioranza che lo ha votato sapendo che avrebbe attuato misure dolorose». Niente di più lontano dalla verità : il Partido popular ha vinto occultando le proprie intenzioni in maniera clamorosa, dicendo che avrebbe fatto l’esatto contrario di quanto sta facendo. E in Spagna non c’è più nessuno che lo neghi, nemmeno nelle file della destra.
Le cose più interessanti emerse dalla conferenza stampa nel madrileno palazzo della Moncloa, in ogni caso, sono quelle non dette. Né Monti né Rajoy hanno voluto sbottonarsi sulla possibilità che i due Paesi richiedano l’attivazione del «fondo anti-spread», quell’oggetto misterioso partorito dall’ultimo Consiglio europeo di fine giugno. Denaro che andrebbe scucito dal cosiddetto «fondo salva-stati» (quello attuale si chiama in realtà Fesf – Fondo europeo di stabilità finanziaria, quello che sta per entrare in vigore Mes – Meccanismo europeo di stabilità ). Ma senza che ciò comporti un commissariamento «alla greca», con i funzionari della troika Ue-Bce-Fmi a vigilare sulla politica degli stati «tratti in salvo». O almeno, questa è la versione sostenuta da Monti, mentre a Berlino e Francoforte sembrano pensarla diversamente.
L’incontro con i giornalisti nella sede del governo spagnolo è avvenuto circa un’ora dopo la conclusione dell’altro momento-clou della giornata politica europea, la conferenza stampa di Mario Draghi al termine del Consiglio direttivo della Bce. Entrambi i primi ministri hanno voluto vedere il bicchiere mezzo pieno, affermando che il governatore della Banca centrale dava loro ragione nel riconoscere che «i mercati stanno colpendo ingiustamente Spagna e Italia». I due Paesi stanno facendo a dovere «i compiti a casa» e il livello dello spread dipende «dall’incertezza circa l’irreversibilità o meno della moneta unica». Draghi ha ribadito ancora una volta che l’euro non ammette ritorni all’indietro – e questo basta a Rajoy e Monti per dichiararsi soddisfatti. Facendo finta di niente di fronte alle non incoraggianti note d’agenzia che informavano sulle turbolenze nelle borse (chiuse ieri con notevoli ribassi e spread alle stelle).
A proposito degli ormai proverbiali «compiti a casa», è proprio di ieri la notizia che, in Spagna, l’anno scolastico appena concluso registra una diminuzione di circa tremila insegnanti negli istituti pubblici, a fronte di un aumento di alunni pari a 120 mila unità . E da settembre maestri e professori saranno ancora meno, a tutto vantaggio della concorrenza delle scuole private. D’altronde, per raggiungere nel 2014 l’obiettivo (ritenuto impossibile dagli analisti) del deficit del 3% in rapporto al Pil – accordato fra Madrid e le autorità comunitarie – il governo di Rajoy è disposto a fare questo e altro. Fintantoché non si fermerà la patetica giostra dei leader europei che, a proposito di riforme «dolorose ma necessarie», si dicono l’un l’altro: «ben fatto collega, avanti così».
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