Sì ai tempi supplementari ma solo se Atene approverà  i nuovi tagli per 13,5 miliardi

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ROMA â€” C’è un solo, piccolo spiraglio per la Grecia. Una finestra di opportunità  per evitare di sprofondare ancora di più nella recessione. O di trovarsi nella condizione di dover tornare alla dracma. Si aprirà  ai primi di ottobre. Questo hanno deciso i leader europei. Falchi e colombe. Rinviare tutte le decisioni tra un mese, quando la Troika internazionale composta da Commissione Ue, Fmi e Bce scodellerà  sulle scrivanie di Bruxelles il suo rapporto sui progressi, o regressi, compiuti da Atene. Allora si consumerà  la battaglia sul futuro della Grecia. Che ha una sola speranza: che gli ispettori internazionali promuovano a pieni voti le riforme e il nuovo piano di tagli da 13,5 miliardi che il premier Samaras ha faticosamente messo insieme. La situazione è questa. I leader — dalla Merkel a Hollande, da Monti a Juncker — tramite i loro canali riservati hanno concordato che in questa fase nessuno deve dare segnali di cedimento alle richieste di Samaras. Il wording deve essere uniforme e richiamare i greci alle loro responsabilità , al rispetto degli impegni presi e al proseguimento delle riforme. Bastone e carota, al massimo spingendosi a dire che la Grecia non deve uscire dall’euro per dare un segnale di incoraggiamento al Parlamento di Atene che vota, e sarà  una guerra, la nuova sforbiciata alla spesa pubblica da 13,5 miliardi. Il tutto in attesa del rapporto della Troika che arriverà  tra fine settembre e i primi di ottobre. Una bocciatura chiuderebbe le porte ad Atene, che a quel punto
avrebbe solo due tragiche scelte. La prima, tornare alla dracma. Un passo che i greci non faranno, almeno volontariamente, visto le drammatiche conseguenze che avrebbe sulla loro economia e sulla tenuta sociale e politica del Paese. La seconda, restare nell’euro trangugiando le misure lacrime e sangue imposte dall’esterno e abbattendo il deficit entro il 2014. Senza quel rinvio al 2016 che Samaras va chiedendo in Europa. Oltretutto non è un mistero che ampie fette di establishment dei Paesi al di sopra delle Alpi non vedrebbero così di cattivo occhio l’idea di abbandonare la Grecia al suo destino. E dunque in caso di bocciatura da parte degli ispettori internazionali sarebbe già  tanto se Atene ricevesse la tranche da 31,5 miliardi prevista dal secondo pacchetto di aiuti per evitare il default con conseguente abbandono della moneta unica. Ma lo scenario potrebbe cambiare in caso di promozione a pieni voti. Allora sì che i greci potrebbero sperare in qualche sconticino. In una mano tesa dai partner. Una via indicata anche dal presidente del Parlamento europeo, il socialdemocratico Martin Schulz: «Se la Grecia dimostra di applicare a fondo gli obblighi assunti si può parlare di limiti temporali ». Quello che va cercando Samaras per uscire dalla spirale che sta uccidendo un Paese che in cambio dei due pacchetti di salvataggio, 230 miliardi in tutto, ha dovuto mettere in campo una violentissima austerity che ha fatto sprofondare il Pil del 17,5% in tre anni e ha portato la disoccupazione al 23,1%. Cifre da brivido. D’altra parte non è un mistero che Francia e Italia sono le più decise a fare di tutto per tenere la Grecia nell’euro. Perché rompere l’eurozona porterebbe uno schock tale da mettere in ginocchio — come in un domino — anche Spagna e Italia. Un’onda d’urto che arriverebbe infine anche alla Francia. Così salterebbe l’interno sistema della moneta unica. I nordici invece sono dell’idea che il colpo verrebbe assorbito. E comunque a farne le spese sarebbero più i Paesi periferici che loro. Ma ora i primi dati economici negativi che arrivano anche in Germania, l’export come la produzione manifatturiera, iniziano a far riflettere industriali e banchieri teutonici. Che dunque — si spera a Roma e Parigi — potrebbero invitare i politici per calcolo elettorale più favorevoli al “Grexit” a calmare i bollenti spiriti. Aiutando così la Merkel — impegnata in un difficile equilibrio tra rigore e solidarietà  in vista delle elezioni 2013 — ad essere più morbida. Le incognite sono molte. Il punto è che molti governi (o singoli partiti) rigoristi non vogliono spendere un solo centesimo in più per la Grecia. E dare più tempo ad Atene, magari un anno anziché due, comunque costerebbe (per quanto meno di un nuovo pacchetto di aiuti). Ma la scommessa è che con un ok della Troika si potrebbe trovare un escamotage per concedere i tempi supplementari ad Atene senza far perdere la faccia ai rigoristi o presunti tali. Merkel compresa.


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(Aprileonline.info, 21 marzo 2007) Rosario Lembo*

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